Sono ormai più di due anni, da quando cioè si è insediato il governo Meloni, che aspetto di vedere qualche provvedimento all’insegna della famosa e sbandierata “destra sociale”. Quella che andrebbe in aiuto ai lavoratori e ai poveri. In questi lunghi mesi, invece, non ho visto nulla in questo senso. Anzi, uno dei primi provvedimenti del governo è stata l’abolizione di una misura antipovertà fondamentale e innovativa come il Reddito di cittadinanza, mentre in questi giorni è in discussione una stretta sulla Naspi, il sussidio di disoccupazione, motivata dagli abusi che talvolta se ne fanno, ma che di fatto rappresenta un ulteriore picconamento di un welfare state di cui rimangono ormai briciole.

La manovra ancora in discussione è sotto il segno di un’austerità che neanche il governo Monti, fatte salve mancette varie, aumenti ai ministri mascherati da rimborsi e soldi al Ponte che non mancano mai. Ma soprattutto, questo governo si è dimostrato pro deregulation e ultraliberista (tranne con le corporazioni amiche come i balneari), un ultraliberismo suggellato dall’amicizia con Musk e dal presidente argentino Milei sul palco di Atreju. Salvo poi, però, varare misure illiberali e antidemocratiche contro la libera espressione del pensiero e del dissenso.

Insomma, a fronte di tanta contraddizione ideologica, la proposta di Fratelli d’Italia di chiudere negozi e supermercati nelle festività “rosse”, quindi non la domenica, ma Natale, Pasqua, Ferragosto, Primo Maggio, Capodanno e Santo Stefano, mi sembra forse l’unica che abbia un vago sapore sociale. E che secondo me è giusta e andrebbe approvata: anche se va detto che in alcuni di questi giorni, ad esempio, i supermercati sono già effettivamente chiusi (ma senza obbligo) e che la vera battaglia, a mio avviso, sarebbe stata per chiudere i negozi la domenica.

In Italia ormai siamo abituati ad avere negozi e supermercati aperti tutto il giorno, dalla mattina presto alle 22 (supermercati e centri commerciali). Siamo abituati a pensare che possiamo acquistare un litro di latte il giorno di Natale o fare shopping a Ferragosto al centro commerciale, come se fosse normale, senza conseguenze. La deregulation completa degli ultimi anni ha creato un sistema “monstre”, con lavoratori costretti a restare nei negozi fino a tarda sera pure se sono vuoti e commesse del supermercato passare i prodotti sul nastro il giorno di Santo Stefano.

Ma si tratta di un’anomalia italiana, almeno in parte. Perché basta viaggiare un po’ in Europa per vedere che in buona parte dei paesi i negozi sono chiusi non solo durante quelle feste, ma anche la domenica. Alcuni, persino, chiudono in orario anticipato anche il sabato pomeriggio. A volte sono rimasta stupita, avrei preferito trovarli aperti. Ma, incredibile, non sono mai morta di fame. Tra l’altro, se uno sa che i negozi sono chiusi la domenica fa la spesa il giorno prima. Non casca il mondo, non accade nulla, anzi, vedere tutto chiuso i giorni di festa dà una sensazione di riposo, di pausa dall’acquisto forsennato quotidiano. Oltre, soprattutto, a tutelare i lavoratori, specie chi ha persone da accudire, specie i genitori, che magari non possono fare il Natale con i figli perché gli tocca restare in negozio a vendere l’ennesimo paio di scarpe a qualcuno a cui fa comodo comprare alle nove di sera.

Il presidente di Confimprese Mario Resca ha definito la norma anacronistica, ha parlato di perdita di fatturato, di danno enorme etc. E ha detto che i diritti dei lavoratori si tutelano con turni e incrementi retributivi per il lavoro nei festivi. Ma questo accade forse per le aziende più grandi, o per le migliori. In verità esiste un mercato del lavoro totalmente deregolamentato, selvaggio, dove non solo chi lavora viene pagato o in nero o con mini-contratti, ma soprattutto dove spesso il giorno festivo non viene proprio riconosciuto. A me è capitato spesso di chiedere alla commessa di turno la domenica se la paga era più alta e la risposta è stata un sarcastico “figuriamoci”.

Insomma, immaginarsi un mondo del lavoro tutelato, trasparente, ideale, dove chi lavora il giorno di Natale prende il doppio ed è contento di farlo mi sembra pura utopia.

Al di là dei lavoratori, ci sarebbe anche un senso simbolico della misura. Sottrarre sei giorni l’anno all’acquisto permetterebbe di ricordare che non tutto è consumo. Che ci sono dei giorni dove non si compra, dove si fanno altre cose, si sta insieme, per chi è religioso si celebrano le festività. È una misura che segnalerebbe che il capitalismo delle merci non può occupare l’intero anno solare. Che c’è vita, per dirla con una battuta, oltre la spesa. In questo senso sarebbe una misura che fa bene anche all’ambiente, che va nella direzione di una decrescita economica, anche se davvero in misura “omeopatica”. Parliamo di pochi giorni, ripeto, paventare crolli di introiti e crisi varie mi sembra davvero surreale (infatti, ripeto, alcuni negozi decidono comunque di chiudere quei giorni). Alla fine si abituerebbe la grande distribuzione e si abituerebbero i consumatori.

Ripeto, si tratta di sei giorni l’anno. Se non riusciamo neanche a chiudere i negozi per sei giorni, come potremo cambiare più in profondità questo sistema economico che crea disuguaglianze e stritola chi lavora?

Ad ogni modo, chi è preoccupato per i profitti può stare tranquillo. Sono convinta, anzi scommetto, che la proposta verrà affossata. Neanche il primo governo Conte era riuscito a imporre la chiusura domenicale degli esercizi commerciali, misura ben più incisiva di quella proposta da Fratelli D’Italia, a maggiore ragione questo governo, piegato alle lobby di vario tipo, non farà una misura che scomoda la grande distribuzione. Come non farà misure che siano davvero di “destra sociale”. Una definizione che alcuni opinionisti di destra ancora tirano fuori in tv, raccontando di masse di poveri che avrebbero votato la destra che li aiuta contro la sinistra della ztl. Niente di più falso (e grottesco).

Ormai la gente, come ha spiegato bene il Rapporto Censis, non crede più a niente, tantomeno alla politica, e sa che deve sopravvivere come può, con aiuti di amici e parenti. Consentire a chi lavora nel commercio di non vendere prosciutto al banco frigo a Capodanno, dunque, non cambierà le loro vite, ma almeno sancirà alcuni principi: che questo sistema economico non può mangiare tutte le nostre esistenze. Che chi lavora non deve essere posto di fronte al ricatto di lavorare i giorni di festa. Che il consumo può fermarsi, almeno per poche ore e nei giorni che simboleggiano ben altri e più fondamentali valori: famiglia, amicizia, condivisione, riposo, preghiera.

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