La legge di stabilità non lesina regalini di Natale. E sulla norma per allontanare la candidatura dei sindaci, ecco i franchi tiratori nella maggioranza
Poltrone, nuove di zecca. E quelle esistenti, da proteggere. La legge di stabilità approvata nottetempo dalla Regione Puglia, pur ricca di finanziamenti e contributi a cause più o meno rilevanti – una fra tutte: è stata sancita la gestione pubblica dell’acqua dopo l’accordo tra Regione e Governo – non lesina regalini di Natale da consegnare […]
Poltrone, nuove di zecca. E quelle esistenti, da proteggere. La legge di stabilità approvata nottetempo dalla Regione Puglia, pur ricca di finanziamenti e contributi a cause più o meno rilevanti – una fra tutte: è stata sancita la gestione pubblica dell’acqua dopo l’accordo tra Regione e Governo – non lesina regalini di Natale da consegnare qua e là. Il primo, un cicchetto di cicuta per i sindaci pugliesi che aspirano al grande salto in Consiglio regionale. Se fino a ora erano obbligati a presentare le dimissioni 30 giorni prima della presentazione delle candidature, ora dovranno dimettersi 6 mesi prima della scadenza naturale del mandato. E in caso di scioglimento anticipato del Consiglio comunale, entro sette giorni dallo scioglimento stesso. L’emendamento alla manovra, presentato dall’opposizione, si basa su due principi: o si fa il sindaco rispettando il patto con gli elettori o ci si dimette per candidarsi altrove. Il secondo, è una questione di equità, una campagna elettorale con la fascia tricolore per i sindaci è un vantaggio rispetto ai competitor. Detta in soldoni: si giochi ad armi pari.
Antonio Decaro, l’europarlamentare da 500mila preferenze e candidato in pectore del centrosinistra a succedere a Michele Emiliano, sembrerebbe aver fatto arrivare la sua contrarietà all’emendamento. Del resto, proprio lui che il sindaco lo ha fatto per 10 anni, guidando anche l’Anci nazionale, non poteva avallare una norma che sbarra la strada agli ex colleghi. Tra i banchi della maggioranza, durante le 12 ore di lavori, tutti pronti a giurare che no, quell’emendamento non sarebbe passato. Sino alla mezzanotte. Quando l’astuta mossa del centrodestra di chiedere la votazione segreta ha affossato ogni più ferrea dichiarazione pubblica. Voti favorevoli 31. Voti contrari 12. E questo, tradotto, significa che su 29 consiglieri di maggioranza presenti in quel momento in aula – Emiliano era temporaneamente assente – ne manca all’appello più di qualcuno. I franchi tiratori hanno centrato l’obiettivo.
La questione ora è capire se l’emendamento possa essere impugnato dal governo centrale oppure no. Per quello bisognerà attendere i canonici 60 giorni dalla pubblicazione sul Bollettino. Il segretario regionale del Pd pugliese, Domenico De Santis, che nella maratona di Bilancio ha pattugliato la sua truppa per evitare scivoloni (non è una novità in quell’assise la caduta del numero legale per turbolenze interne) e che aveva espressamente diramato l’ordine di scuderia di respingere l’emendamento, oltre a ritenere incostituzionale la misura adottata, non vuole chiuderla qui. “Dobbiamo chiedere una immediata riunione di maggioranza – dice – e chiedere che si torni il prima possibile in aula per tornare indietro su questa norma antidemocratica”.
Ma, come si diceva, non è l’unico pacco a sorpresa approvato dal Consiglio. Tre nuovi consigli di amministrazione sono pronti per essere insediati. Andranno ad integrare i direttori generali di tre agenzie regionali, l’Arpa, agenzia per l’Ambiente, l’Arif, per gli irrigui e forestali, e l’ex Aret ora Pugliapromozione, per il turismo. E, dunque, saranno nominati un presidente del Consiglio di amministrazione e due componenti. Nove nuovi incarichi. La questione non è tanto economica, giacché per la clausola dell’invarianza di spesa, i compensi dovranno essere recuperati dalle somme già stanziate per gli altri incarichi stringendo un po’ la cinghia e prevedendo un compenso contenuto per i consiglieri di amministrazione, circa 10mila euro annui. Il punto è piuttosto politico. A un anno – o al più un anno e qualche mese – dalla fine della legislatura si creano nove nuovi incarichi da affidare. I presidenti del Cda sono nominati dalla giunta regionale, su proposta del presidente. Il mandato dura tre anni, con facoltà di rinnovo ma allo scadere della legislatura decadono le cariche. Il ché – tradotto – significa nomine politiche.
Non è, questo, il punto di vista di Filippo Caracciolo, consigliere del Partito democratico, firmatario della proposta che ha istituito i tre consigli di amministrazione. “Come abbiamo già fatto per l’agenzia per il Lavoro, Arpal – spiega – così abbiamo ritenuto di fare per le altre. Ovvero, istituire un cda che funga da strumento di maggiore controllo e verifica dell’attività dell’agenzia e del direttore generale”. Insomma, non una elargizione di incarichi – assicura – ma al contrario una garanzia in più del buon operato. Il richiamo è alla legge di riforma dell’Arpal, votata dal Consiglio regionale ad ottobre del 2022 e che ne cambiò la governance disarcionando l’allora direttore generale e istituendo cda e consiglio dei revisori. Anche in quel caso fu imposta l’invarianza di spesa, quindi la coperta fu condivisa da tutti i vertici. Sino ad ora. Perché nella maratona notturna ci si è resi conto che il compenso al direttore generale dell’Agenzia per il Lavoro è troppo basso rispetto alla portata del lavoro e delle responsabilità. E quindi è saltato il tetto sui compensi, autorizzandone l’aumento.
La riforma delle Agenzie e in particolare di Arpa, però, non è passata sotto silenzio. A dirsi “sconcertati” per il nuovo assetto dell’Agenzia per l’Ambiente, i quaranta firmatari della lettera aperta indirizzata al governatore Emiliano, tra i quali il verde Angelo Bonelli e l’ex direttore generale dell’era Vendola, Giorgio Assennato. La richiesta è di un passo indietro sulla decisione assunta perché “compromette irreversibilmente la terzietà non solo di Arpa Puglia, ma dell’intero Sistema Nazionale di Protezione Ambientale”. In Italia – scrivono – nelle 21 Arpa “attualmente non è previsto un Consiglio di Amministazione. I tre membri del cda, infatti, potrebbero farsi portatori di interessi che nulla a che fare con le finalità dell’Agenzia”. Di qui la richiesta di un passo indietro “a meno che non si voglia accettare che l’opinione pubblica pensi che l’Arpa sia lo strumento che suona la musica gradita ai politici e non l’organo tecnico-scientifico che tutela ambiente e salute umana”.