di Matteo Bortolon

La Ue non ha mai avuto un rapporto ottimale con la democrazia. Anche i più incalliti europeisti parlano del “deficit democratico” dell’Unione. Ciò nonostante i suoi vertici la presentano come un faro nel campo dei diritti, della trasparenza, del rule of law. Per gli aspiranti membri è prevista una verifica per valutare se sono degni di entrare nel club. Non siamo forse all’interno del composto giardino descritto da Borrell, mentre fuori c’è la giungla?

Anche per i membri è prevista la possibilità di sanzionare i “cattivi” attraverso una procedura di infrazione. Molti paesi hanno palesi problemi, eppure sullo scorcio del 2024 si è passata una nuova, preoccupante, linea rossa, senza che la commissione muovesse un dito.

In Romania il primo turno delle elezioni presidenziali (27 novembre) ha visto al primo posto il candidato di destra Calin Georgescu (22,9%) sulla progressista Elena Lasconi (19,18%) e il socialdemocratico Marcel Ciolacu (19,15%). Nelle elezioni parlamentari avvenute qualche giorno dopo (1 dicembre) hanno invece vinto i socialdemocratici. Il ballottaggio per le presidenziali avrebbe dovuto tenersi l’8 dicembre, ma capovolgendo la propria precedente decisione, la Corte Costituzionale ha annullato il primo turno. Le motivazioni consistono in rapporti dei servizi segreti che indicano una influenza esterna attraverso il social TikTok, con cui la Russia avrebbe determinato una distorsione del processo elettorale.

Non pare sia stata data una spiegazione di cosa sia cambiato fra il 27 novembre e il 1 dicembre: gli oramai mitici hacker russi avranno fatto sciopero? E com’è possibile essere sicuri che tale influsso sia stato determinante per l’elezione?

Georgescu è stato considerato una figura di estrema destra, ma tale biasimo per molti politici con un corredo simile non ha costituito un ostacolo per il potere. Lui però ha detto a chiare lettere di essere contro la Nato e gli aiuti militari all’Ucraina. A questo si dovrebbe aggiungere che i servizi segreti, sui cui rapporti si è invalidata l’elezione, sono molto legati all’attuale Presidente Klaus Iohannis, che da parte sua è così entusiasta della Nato da aver cercato di diventarne segretario al posto di Rutte. Non pare troppo difficile ravvisare una plateale strumentalizzazione a favore della linea atlantista.

Evidentemente alcuni media italiani hanno trovato una notevole difficoltà. La rivista Internazionale titola pomposamente Il voto cancellato per salvare la democrazia, un articolo che nell’originale suonava un po’ più equilibrato: 6 dicembre 2024, istantanea della politica rumena. Il Corriere: Romania, ombre russe sul voto. Adnkronos: Elezioni Romania, voto annullato per interferenze russe. Curioso che pochi abbiano notato, come invece fa un articolo sul sito dell’Osservatorio Balcani e Caucaso, che la candidata arrivata seconda, Elena Lasconi, pro Ue e Nato, non fosse molto d’accordo con la decisione: secondo lei lo Stato romeno “ha calpestato la democrazia”, e ha definito la decisione della Corte Costituzionale “illegale e immorale”, un atto che “distrugge l’essenza della democrazia”.

L’articolo di Wired mette falsità nel sottotitolo, evocando “brogli e irregolarità”. Nessuno ha parlato di alterazione delle schede, ma di campagne comunicative volte a modificare l’intenzione di voto. E di che genere di messaggi si trattasse, l’articolo invece lo dice chiaro e tondo: “Opposizione alle alleanze occidentali e la promessa di interrompere il sostegno militare all’Ucraina”.

Insomma si è trattato di un voto non motivato ad una adesione a temi nazistoidi, xenofobi o estremisti, ma dall’opposizione alla guerra individuando nella Nato e negli alleati euroatlantici il problema principale. Evidentemente tale opinione non ha più diritto di cittadinanza nell’Unione; o meglio: la si può avere purché non si ambisca a presentarla agli elettori. Vincendo. Questo proprio no.

Invalidare un’elezione è qualcosa di una gravità inaudita: formalmente votare è l’atto massimo di partecipazione democratica ed espressione dei propri diritti civili e politici. Le motivazioni dovrebbero essere della massima gravità, come l’esercizio della violenza o comprovate alterazioni del voto. Che atti di questo genere possano accadere senza motivazioni solide nella sedicente culla della democrazia (percepita come tale non solo rispetto alle cosiddette autocrazie asiatiche ma anche rispetto agli Usa) è un segnale assai preoccupante per tutti i cittadini consapevoli della posta in gioco. L’inaccessibilità al potere per chi ha le idee “sbagliate” sa molto di Guerra Fredda e rischia di far naufragare il poco di democrazia rimasta.

Già il diritto di espressione è robustamente sotto attacco da parte delle istituzioni Ue con una tendenza alla censura sui social. Che si vogliano giudicare altri paesi impartendo lezioni è oramai grottesco, e il pensare di esportare i nostri standard non può che evocare il dubbio che la magistrale comicità di Corrado Guzzanti suscitava oramai vent’anni fa: “il problema è matematico, se esportiamo la democrazia a noi quanta ce ne rimane?”.

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