Il settimanale francese gli dedica un reportage. L'obiettivo: recuperane l'immagine nei giorni brutti di Stellantis e dell'inchiesta sull'eredità
Nel magico mondo di John Elkann, così come descritto ieri in oltre una dozzina di pagine del settimanale francese Le Point, può accadere persino che a Parigi dei “turisti transalpini” fermino per strada il presidente di Stellantis. “Tutti conoscono i suoi lineamenti giovanili, i suoi capelli mossi, il suo fraseggio. ‘Elkann, una foto?’ All’ingresso del […]
Nel magico mondo di John Elkann, così come descritto ieri in oltre una dozzina di pagine del settimanale francese Le Point, può accadere persino che a Parigi dei “turisti transalpini” fermino per strada il presidente di Stellantis. “Tutti conoscono i suoi lineamenti giovanili, i suoi capelli mossi, il suo fraseggio. ‘Elkann, una foto?’ All’ingresso del bookshop, sotto i portici di rue Rivoli. Vestito con jeans, scarpe da ginnastica alte bianche, una giacca blu e un maglione gettato sulle spalle, il 48enne italiano ha accettato”. E come dovrebbe essere poi il telefonino degno di quel fraseggio e di quei capelli mossi? Le Point soddisfa ogni curiosità: “Rosa”, ovviamente.
Ma in questa grande favola natalizia, “Nel mondo segreto di John Elkann”, apparecchiata dai consiglieri della comunicazione del nipote di Gianni Agnelli e poi divulgata ai cronisti addirittura con una “sintesi” pronta a sottolinearne tutti gli aspetti più positivi e più glamour, è sufficiente forse aver letto anche solo i giornali italiani degli ultimi 21 anni per scoprire che non è tutto oro quel che luccica. E che il verosimile non vuol dire verità. Chi avete mai pensato, infatti, che dopo la morte dell’Avvocato abbia davvero salvato la Fiat? Umberto Agnelli, costretto a regnare per poco dopo i veti di Romiti e l’adeguarsi del fratello Gianni, e pronto a vendere i gioielli di Ifi-Ifil per non far morire il marchio che da più di un secolo dava lustro alla Famiglia? Oppure i “consiglieri” più fidati del “signor Fiat”, Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens, pronti a fare da “tutori” a un ragazzo di 27 anni? O quel Sergio Marchionne che reinventò un’azienda quasi decotta, riportandola all’onor del “nuovo mondo”: gli Stati Uniti della Chrysler?
Il racconto di Natale, prova a farci ricredere in queste nostre convinzioni ventennali: “Abbiamo dovuto fare affidamento sui suoi cari per mettere insieme il puzzle della sua vita…”. Un puzzle che talvolta, però, sembra incastrare a forza, nel suo disegno, pezzi sbagliati. Molto sbagliati. Come per esempio accadde per quegli esordi “a partire dall’anno cruciale 2004”. Quello del disastro Fiat. “I pessimisti prevedono il fallimento; gli ottimisti, una scalata da parte delle banche… Il gruppo, di cui le partecipazioni Agnelli detengono il 30,06%, deve rimborsare 3 miliardi di euro a otto istituti di credito. In caso di inadempienza, ne prenderanno il controllo. Grazie a un’abile manovra sui mercati, Elkann salva la casa di famiglia”.
In realtà, “l’abile manovra sui mercati” fu opera di Gabetti e di Grande Stevens che, fedeli alla memoria dell’Avvocato come due ufficiali del Savoia Cavalleria (un reggimento militare sempre caro a Gianni Agnelli), fecero tutto ciò che era nelle loro possibilità per evitare che si realizzasse il “convertendo” delle banche nei confronti della Fiat. Un comportamento che li porto però nelle aule del tribunale di Torino, con l’accusa di “false comunicazioni alla Borsa e aggiotaggio”: Furono assolti in primo grado, condannati in secondo grado a 1 anno e 4 mesi e infine salvati da, “liberi tutti” della prescrizione, nel 2013. Due fedeli ufficiali del Savoia Cavalleria, appunto; e vederli adesso spazzati via da quella storia (quella vera) assume i toni quantomeno dell’ingratitudine.
Qual è però lo scopo del lungo reportage sulla vita (romanzata) del Giovane Elkann e dei suoi tormenti? Curarne, recuperane l’immagine nei giorni brutti di Stellantis e, soprattutto, dell’inchiesta penale sull’eredità di nonna Marella Caracciolo e di nonno Gianni Agnelli, scatenata dalla madre Margherita con una causa civile e poi con esposto ai pm torinesi. Che ora accusano John e i suoi fratelli Lapo e Ginevra di frode fiscale, evasione delle imposte e della tassa di successione e truffa ai danni dello Stato. Un’inchiesta che pare in procinto di arrivare alla sua conclusione, tra fine gennaio e inizio di febbraio di questo nuovo 2025. Quello scontro familiare nel reportage di Le Point sta giusto al centro. Sovvertendo la vecchia regola secondo la quale le cose pessime si dicono alla fine. “In cauda venenum”.
Così una dichiarazione tra virgolette è la prima risposta diretta di John ai magistrati, dopo tutte quelle delegate ai propri legali: “Sono estremamente sereno, perché non ho fatto assolutamente nulla di ciò di cui sono accusato”. E poi, la replica proprio sulla questione ereditaria e la madre: “Ha preso tutto: soldi, case, dipinti”. Infine, un racconto già anticipato nell’estate scorsa al quotidiano cattolico “Avvenire” e ora messo giù con qualche particolare in più su Le Point: “Ho moltiplicato i tentativi di conciliazione nella speranza di ritrovare la pace, l’ultimo volta dopo la scomparsa di mia di mia nonna. Ho fatto visita a mia madre…”. Poi, alla voce di John si aggiunge anche quella della sorella Ginevra. Assieme descrivono il comportamento della madre Margherita che cercava di convertire i figli alla religione ortodossa: quella del suo secondo marito, il nobile di origini russe Serge de Pahlen che fu responsabile di Fiat Russia, e degli altri 5 figli nati da questo secondo matrimonio.
John parla di “fanatismo religioso, bigottismo. Voleva farci aderire all’universo ortodosso di suo marito e imporcelo, in un certo senso, perché lui ci accettasse. Invano”. La sorella, invece, introduce l’argomento di Margherita come “donna dai nervi fragili. Nel momento in cui John aveva più bisogno di lei, quando si è ritrovato solo con Fiat, lei gli ha voltato le spalle”. E l’accusa più pesante arriva infine da John: “È una persona naturalmente violenta, piena di risentimento. Denigrava nostro padre (lo scrittore Alain Elkann, ndr). Il dialogo è impossibile con lei. Di fronte a questa incapacità, sfociava nella violenza, verbale o fisica. Non sopporta di non avere ragione. La minima opposizione finiva con una punizione. La situazione è peggiorata con la sua nuova vita: avere questi tre figli da un precedente matrimonio era un problema”. E alla domanda se si trattasse di schiaffi, risponde così: “Di più. Più di tutti, è stato Lapo a subire…”.
Nella “sintesi” diffusa dai comunicatori del presidente di Stellantis, e poi ripresa dalle agenzie, mancano le repliche dei legali di Margherita, che invece Le Point ha riportato: “La nostra cliente preferisce non rispondere, avendo sempre provato un affetto uguale per ciascuno dei suoi figli. Da parte nostra, troviamo molto strano che questi presunti abusi siano stati denunciati dopo ben quarant’anni e, quasi per caso, in coincidenza con un contenzioso legale che Margherita non ha avviato per prima nei confronti dei suoi figli”.
Infine, descritta sul settimanale francese, ecco una memoria su de Pahlen attribuita a “un Agnelli”: “E una scena riaffiora dal passato. Si svolge a Villar Perosa, culla della famiglia. La villa è piena di persone; ci sono Gianni e sua moglie, così come Margherita e Serge de Pahlen. Un ospite di quest’ultimo sta chiacchierando a bordo piscina – sport, cucina… ‘Era Vladimir Putin‘, dice un Agnelli, ‘prima di essere Vladimir Putin’. Serge de Pahlen, da parte sua, (si legge nel reportage, ma non nella “sintesi” dei comunicatori del presidente di Stellantis, ndr), parla di semplici incontri professionali legati alla sua attività in Fiat”.
Gennaio e febbraio prossimi, in attesa che il 2 aprile 2025 riprenda la causa civile sull’eredità Agnelli, diranno intanto che cosa resterà di questo racconto giornalistico e che cosa c’è invece di definitivo nella causa penale dei pm torinesi. Che più volte, in questi 10 mesi di indagini, hanno ottenuto ragione da parte di un gip, del Tribunale del Riesame e della Cassazione per i loro sequestri e decreti. Gli stessi pm che un mese fa hanno mandato la Guardia di Finanza a perquisire a Torino e a Roma gli studi dell’avvocato Grande Stevens, alla ricerca di un “archivio riservato di Gianni Agnelli” e di possibili carte sulla società semplice “Dicembre”. E’ la “cassaforte” che assicura a John Elkann il controllo dell’impero Exor. Grande Stevens, che non è indagato così come tutti suoi colleghi di studio, oggi ha 96 anni: e dal 2005 al 2013 ha dovuto sopportare, assieme a Gabetti, l’accusa di aver compiuto reati per sottrarre la Fiat alle banche e mantenerla nel controllo della famiglia Agnelli. Qualcosa che, in nome del verosimile, nelle oltre 12 pagine di Le Point è stato cancellato.