Salute

Dal cattivo umore alla soglia di attenzione più bassa del normale: i 4 segnali d’allarme per riconoscere l’Alzheimer decenni prima che si manifesti. L’esperta: “C’è anche un altro sintomo non considerato”

Questi segnali possono manifestarsi anche decenni prima della comparsa dei preoccupanti sintomi clinici, quelli che in genere allertano pazienti e specialisti a indagare più approfonditamente con ulteriori controlli per confermare una diagnosi di demenza

Li ha indicati in un video pubblicato su TikTok. Sono i quattro segnali sottili che possono annunciare nel futuro l’insorgenza della malattia di Alzheimer. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità questa patologia colpisce oltre 40 milioni di persone nel mondo che, nei prossimi trent’anni, potrebbero triplicare a causa dell’invecchiamento della popolazione. Le ripercussioni sui costi sociali […]

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Li ha indicati in un video pubblicato su TikTok. Sono i quattro segnali sottili che possono annunciare nel futuro l’insorgenza della malattia di Alzheimer. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità questa patologia colpisce oltre 40 milioni di persone nel mondo che, nei prossimi trent’anni, potrebbero triplicare a causa dell’invecchiamento della popolazione. Le ripercussioni sui costi sociali e sanitari sono quindi immaginabili. Ecco perché è importante intercettare in tempo la malattia per ridurne l’impatto sulla qualità di vita delle persone.

L’autore del video è il neurologo e psichiatra statunitense Daniel Amen, specialista di imaging cerebrale seguito da ben 3 milioni di follower sulla piattaforma social.
I segnali di cui parla possono manifestarsi anche decenni prima della comparsa dei preoccupanti sintomi clinici, quelli che in genere allertano pazienti e specialisti a indagare più approfonditamente con ulteriori controlli per confermare una diagnosi di demenza. Tuttavia, se i sintomi possono essere individuati prima della vera e propria manifestazione dell’Alzheimer, c’è possibilità di agire preventivamente con esercizi per tenere allenata la mente e scelte di vita, per rimandare il più possibile l’insorgenza di un simile evento.

Quali sono i 4 segnali da intercettare precocemente
Secondo il dottor Amen, il primo, possibile segnale precoce dell’Alzheimer è la perdita di memoria. Quando questa comincia a indebolirsi non significa automaticamente un inizio di demenza, ma l’80 percento di quelli che la presentano, spiega l’esperto, va incontro a un ulteriore peggioramento nel futuro.

Il secondo segnale è rappresentato da un’impulsività eccessiva e una ridotta capacità di giudizio. È possibile che siano la conseguenza della diminuzione dell’attività dei lobi frontali, che hanno molteplici funzioni: dal controllo dei movimenti alla personalità, passando per la regolazione delle risposte emotive al linguaggio. L’inizio della neurodegenerazione (cioè la morte dei neuroni) in questa parte dell’encefalo può dunque riflettersi in una ridotta brillantezza nel giudizio e in una maggiore impulsività.

Il terzo sintomo da non sottovalutare è una soglia dell’attenzione più bassa del normale. Da ciò consegue una certa facilità a distrarsi, che però non dobbiamo confondere col disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD). La specificità di questa riduzione è il progressivo peggioramento della capacità di restare concentrati.

Il quarto e ultimo segnale indicato dal neurologo è il ricorrente cattivo umore e il sentirsi depressi. Su Tik Tok il dottor Amen ha sottolineato che la depressione raddoppia il rischio di Alzheimer nelle donne e lo quadruplica negli uomini. Infine, l’esperto indica alcuni fattori che possono essere associati all’insorgenza di demenza, come l’obesità, le apnee notturne, l’insonnia cronica, la disfunzione erettile e la carenza di energia, che determina un ridotto apporto di sangue al cervello con possibile accelerazione della neurodegenerazione.

Il parere dell’esperta
“L’Alzheimer è una malattia che vede nell’invecchiamento cerebrale il principale fattore di rischio. Questo processo avviene a causa dell’alterazione di due proteine, la Beta amiloide e la proteina Tau. Sono modifiche che non avvengono da un giorno all’altro, ma nel corso di molti anni, almeno 10-15 – spiega al FattoQuotidiano.it la professoressa Federica Agosta, group leader dell’Unità di Neuroimaging delle malattie neurodegenerative dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e associata di Neurologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele.

Un sintomo da non sottovalutare
“Se compaiono alcuni di questi sintomi, soprattutto nella fascia di età dai 60 ai 65 anni, si seguono due strade parallele – continua l’esperta -. La prima è quella di rivolgersi al neurologo che farà eseguire le specifiche analisi strumentali e i controlli per diagnosticare la presenza della malattia. Attualmente abbiamo strumenti altamente sensibili che possono intercettare i segni della malattia con discreto anticipo; d’altra parte, si devono seguire alcune regole di vita che possano ritardare l’insorgenza dell’Alzheimer e ridurre i fattori di rischio che sono prevalentemente di tipo vascolare. Tra queste regole, seguire una buona alimentazione a base di cibi vegetali, con poca carne e grassi animali, ridurre gli zuccheri e l’alcol. Ma anche mantenersi fisicamente e mentalmente attivi, e coltivare rapporti sociali senza cadere nell’isolamento. Ma c’è un altro elemento, spesso non considerato”.

Quale?
“La riduzione dell’udito nella persona di una certa età. Può essere un fattore di rischio per decadimento cognitivo. L’errore che spesso si fa è considerare le perdite di udito o della memoria come segnali normali dell’invecchiamento. In realtà, invecchiare non è una malattia, piuttosto è una fase della vita in cui possono comparire sintomi che preannunciano l’insorgenza di una patologia”.

Tra terapie attuali e future
In caso di manifestazione del morbo di Alzheimer, quale trattamento farmacologico abbiamo oggi a disposizione?
“Voglio sottolineare ancora la necessità di intervenire precocemente sui sintomi perché a queste condizioni anche i farmaci hanno maggiore effetto. Ricordo che il morbo di Alzheimer rientra tra le patologie neurodegenerative per le quali non c’è una cura farmacologica specifica. Ormai da trent’anni abbiamo a disposizione due classi di farmaci, gli inibitori dell’acetilcolinesterasi e la memantina. Questi farmaci possono alleggerire i sintomi o comunque ritardare la fase più grave della malattia di Alzheimer”.

C’è all’orizzonte qualche terapia innovativa?
“Sì, da poco tempo sono stati autorizzati negli Usa e approvati anche dall’Agenzia del farmaco europea gli anticorpi monoclonali. Sono farmaci che non agiscono sui sintomi, ma per la prima volta rimuovono le cause della malattia agendo sulle proteine responsabili del decadimento cognitivo. Si tratta di un notevole cambiamento nelle prospettive di cura che a breve sarà attuabile anche in Italia”.