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‘Racconti da Gaza’ di Valerio Nicolosi e ‘Re:tour’ di Michela Chimenti, i podcast sulla Striscia da due prospettive opposte

Da una parte la conoscenza del territorio e le testimonianze in loco per la cronaca e l'analisi geopolitica, dall'altra il viaggio surreale nella zona israeliana che circonda il muro, là dove "è sempre il 7 ottobre", tra memoria, propaganda e business

di Elena Rosselli
RACCONTI DA GAZA - 2/3

RACCONTI DA GAZA - 2/3

Un podcast indipendente, “figlio della pandemia”, che grazie alla qualità e al passaparola diventa, tre anni dopo, un piccolo caso editoriale, premiato dagli ascolti e dal pubblico, che gli ha tributato uno dei tre premi vinti a luglio agli Italian podcast Award. L’origine di “Racconti da Gaza” di Valerio Nicolosi risale al 2020, quando, a causa del lockdown, si ritrova bloccato a casa, come tutti: “Ascoltavo molti podcast – ero un appassionato di Alessandro Barbero – e avevo il materiale sul mio primo viaggio a Gaza nel 2014 – spiega l’autore – Alcune cose le avevo inserite nel libro ‘Be filmaker a Gaza’, ma aveva avuto una diffusione limitata, così ho deciso di fare un podcast”. Grazie alla sua formazione da videomaker, Nicolosi realizza un prodotto indipendente, realizzato dall’autore in tutti i suoi aspetti: scrittura, montaggio, sound design, registrazione, ecc.

Inizialmente sei puntate sull’esperienza del 2014, un mese come docente di fotografia all’Università Al Aqsa. Poi arriva il 7 ottobre 2023 e il mondo torna a parlare della Palestina e di Gaza in particolare, prima per il massacro di Hamas e poi per l’operazione militare scatenata da Israele. “Le persone hanno cominciato a condividere le puntate del 2020, io facevo dei Reel su Instagram, ma mi sono reso subito conto che era necessario riprendere in mano il podcast. – continua il giornalista, che dopo il 2014, è stato a Gaza anche nel 2016, 2017, 2018 e 2019, passandoci persino una parte del proprio viaggio di nozze – Bisognava raccontare la Striscia nel suo contesto storico, geografico, economico, sociale, andando indietro nel tempo”. Perché il 7 ottobre è stato sicuramente uno spartiacque, ma la storia di quell’area ha radici molto più antiche. “Racconti da Gaza ha avuto due pregi fondamentali: da una parte la conoscenza che ho del territorio, dall’altra la possibilità di ricevere testimonianze dirette da amici e colleghi gazawi, capaci di offrire una lettura della situazione, diversa da quello che sentivo da altri media”. Racconti in presa diretta come quelli di Jumana, che mandava vocali sotto le bombe, di Sami, che raccontava l’assedio giorno dopo giorno e dei tanti operatori umanitari, che sono diventati testimoni di quello che anche Amnesty definisce “il genocidio del popolo palestinese”.

Nicolosi registra 81 puntate tra il 15 ottobre 2023 e il 12 luglio 2024, alcune con l’aiuto della giornalista Michela Chimenti. Per i primi tre mesi il podcast viene pubblicato tutti i giorni, sabato e domeniche comprese: “Per me è stata una questione di coscienza civica. – spiega l’autore, che da settembre conduce “Scanner”, una rassegna stampa giornaliera su Storytel ed è il libreria con C’era una volta Gaza (Rizzoli) – Io avevo il mio lavoro in tv ed è stato molto faticoso fare un podcast da solo: significava togliere tempo alla mia famiglia, preparare il materiale, alzarsi alle 5, registrare, montare, ma sentivo di doverlo fare perché l’informazione su Gaza che sentivo era scorretta, approssimativa, fossilizzata solo su quel preciso momento. Serviva invece una lettura geopolitica delle mosse dei principali attori che si muovono in quell’area – gli Stati Uniti, il Qatar, l’Egitto, la Turchia – spiegare le responsabilità storiche dei Paesi arabi, le responsabilità delle leadership palestinesi nella destabilizzazione dei paesi circostanti, come la Giordania e il Libano”.

Il podcast è cresciuto gradualmente: “Per 35 giorni ho pubblicato senza sosta e in media ho raggiunto 8mila ascolti al giorno, con picchi anche di 15mila”. Poi le puntate sono diventate meno frequenti, ma “Racconti da Gaza” è rimasto in classifica sulle varie piattaforme per molto tempo, circondato dai big del settore, con grandi produzioni alle spalle. Un segnale per i media tradizionali? “Il rovescio della medaglia è il rischio della disintermediazione – spiega l’autore – Chi ascolta arriva alla conclusione che può fidarsi solo di una persona o comunque di una limitata cerchia“. Dopo il 7 ottobre, specie sui social sono proliferati i contenuti di sedicenti esperti di geopolitica, che pur non avendo mai frequentato quell’area, si sono improvvisati commentatori quotidiani: “Il punto non è essere o meno giornalisti, ma il codice etico da rispettare, la metodologia di controllo delle fonti che deve essere molto rigida. Una persona da sola può interpretare o addirittura inventare le notizie senza che un corpo intermedio, come quello di una redazione, le verifichi. Ed è un rischio che dovrebbe allarmare tutti i grandi giornali“.

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