Il capo della pallacanestro italiana resta l'ex presidente del Coni, alla soglia degli 80 anni. La conferma che la politica sportiva è allergica al cambiamento
L’intramontabile Gianni Petrucci ce l’ha fatta: sarà ancora il presidente del basket italiano. Eletto per la prima volta nel ’92, in mezzo anche la guida del Coni tra il ’99 e il 2013, a 79 anni è stato rieletto per l’ennesima volta, la quarta di fila, la sesta in totale, a capo della Federazione, che […]
L’intramontabile Gianni Petrucci ce l’ha fatta: sarà ancora il presidente del basket italiano. Eletto per la prima volta nel ’92, in mezzo anche la guida del Coni tra il ’99 e il 2013, a 79 anni è stato rieletto per l’ennesima volta, la quarta di fila, la sesta in totale, a capo della Federazione, che a questo punto guiderà fino al 2029, a quasi quarant’anni di distanza dalla prima nomina. Altro che limite di mandati.
Ecco i risultati di aver cancellato la Legge Lotti, che nel 2018 aveva introdotto un limite di tre mandati per tutte le cariche sportive. Una norma che i presidenti federali (Petrucci in testa) hanno sempre avversato, e sono riusciti a farsi cancellare dal parlamento la scorsa estate, col ministro Andrea Abodi che per mitigare il favore ha stabilito un quorum maggiorato del 66% per i dirigenti oltre il terzo mandato. La vittoria di Petrucci è una notizia perché, dopo l’introduzione di questo paletto, lui era forse il presidente che rischiava di più. E infatti ha rischiato: Petrucci è andato a soli 4 voti dalla detronizzazione. Alle urne ha ottenuto il 70%: sembra una percentuale rassicurante ed in effetti in termini assoluti lo è, ma tradotto nel regolamento elettorale della FederBasket dove il presidente viene scelto da 100 delegati, si riduce a nulla. Quattro persone sarebbero bastate a porre fine alla sua carriera. Invece lui è riuscito a convincerne abbastanza.
Cosa sarebbe successo poi era tutto da vedere, visto che le generose regole scritte dal governo gli avrebbero concesso comunque di gestire la transizione, altri 2 o 3 mesi per preparare le prossime elezioni, in cui avrebbe potuto comodamente piazzare un prestanome al suo posto, a cui sarebbe bastata la maggioranza semplice. Ma non si è nemmeno posta l’eventualità. Lo sfidante – l’avvocato Guido Valori, che è stato a lungo uno degli uomini di fiducia di Petrucci, amico (lo ha avuto come testimone di nozze) e collaboratore della Federazione, prima della rottura e dell’avventura da candidato dell’opposizione, che in lui aveva riposto grandi speranze – si è fermato al 23%. Sicuramente troppo poco per vincere, ma anche solo per mandarlo a casa, che a un certo punto sembrava l’obiettivo più realistico della sua candidatura.
Risultato tutto sommato schiacciante, nonostante tutti i mali che affliggono il basket italiano, un movimento clinicamente morto. Ed una campagna elettorale particolarmente aspra, che come ha raccontato Il Fatto quotidiano ha visto una serie di trucchetti per controllare il consenso e restringere la democrazia interna. E persino denunce, come l’esposto dell’ex presidente del Comitato regionale Lombardia, Giorgio Maggi, che ha accusato Petrucci di violenza privata, oltre che di una serie di giochetti per condizionare il voto. Il fatto che, come se nulla fosse, il mondo della pallacanestro italiana abbia scelto ancora una volta Petrucci, e lo abbia fatto in blocco, la dice lunga su quanto sia inscalfibile il suo potere e più in generale quello dei presidenti federali.
Con la conferma di Petrucci questa grande tornata elettorale dello sport comincia a volgere verso la fine: quella del basket era forse l’ultima, vera elezione in bilico. Le grandi Federazioni hanno ormai votato, rieleggendo quasi sempre il loro numero 1, dal tennis (Angelo Binaghi) al nuoto (Paolo Barelli), passando per l’atletica (Stefano Mei), con la sola eccezione del rugby (dove ha vinto lo sfidante Andrea Duodo). Oltre a qualche disciplina minore, al volley e al ciclismo (qui è ancora possibile qualche sorpresa), manca all’appello soprattutto il calcio, dove però tutto va in direzione dell’ennesimo plebiscito per Gabriele Gravina. Il responso delle urne è chiaro: se può, lo sport italiano non cambia.
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Nella foto in alto | Gianni Petrucci con il ministro dello Sport Andrea Abodi