Cercare se stessi nelle vite degli altri, specchiarsi negli slanci e negli errori, nelle passioni, negli addii e nei ritorni: è quello che ogni buon narratore sa fare ed è quello che ha raccontato Claudio Menni nel romanzo La poetica della pasta Barilla. Etnografia in 22 quadri, narrando naturalmente anche se stesso, osservandosi come un etnografo, un antropologo e anche un comico, con lo humour tipicamente romagnolo che sa descrivere tragedie e le loro derive farsesche.

Il narrare di Menni, amico della Nazionale scrittori che vive a Casola Valsenio (in provincia di Ravenna), è ricco, sfaccettato. Claudio ne ha già dato prova in un altro lussureggiante e picaresco romanzo, Le avventure di Gardo Mongardo. Anche questa sua “poetica” lo rivela tagliente ed essenziale come sul campo di calcio, irriducibile e “pop”, anche di fronte ai rovesci della sorte: “In ognuno esiste una vite di acciaio cromato fra fegato e pancreas – scrive – che ci sostiene dalla punta delle dita allo stomaco, che unisce lo stomaco all’anima. Tenerla in tensione, stringendola ogni qualvolta sia necessario, usciti da un temporale o da una pietraia, è prendersi cura di tutto quello che un uomo è (…) Amilcare ha attraversato tre volte per sette anni, il successo (professionale), il matrimonio e la tempesta perfetta dell’amore senza nome. Ogni volta che ha perso, dopo cento lacrime o nessuna, dopo una o cento bottiglie di vino e dopo molti passi nel crepuscolo, ha stretto forte la vite dentro il petto e in un silenzio dalla luce pastello, ha imboccato una strada qualunque, la prima che si è trovato davanti”.

Le sue pagine sono piene di vita come l’animo romagnolo, ricche di ironia e di satira, come i suoi personaggi: Ortis e Veronica, Teresa e Amilcare, con i loro amori dalle gambe corte e dalle passioni galoppanti, marchiate dal sesso impetuoso e da silenzi irrimediabili. La poetica della pasta Barilla “è la perfetta proiezione dell’idillio familiare piccolo borghese”.

Caro Claudio, compagno di battaglie sui campi di calcio di mezza Italia (e anche Europa), Buon Natale, in te riconosco la mia irriducibilità: dopo un milione di parole e di sentimenti resta la poesia che ogni uomo è in grado di sentire dentro, e di produrre per chi gli sta intorno. La poesia è legata alla spiritualità, bene assai raro di questi tempi, qualità per rivoluzionari, come ricorda Maurizio Pallante nel recente Liberi dal pensiero unico. La rivoluzione culturale della spiritualità.

Scrivere non è banalmente una faccenda tecnica, solo legata alle trame, ai personaggi, ai dialoghi, agli stili, ma – cosa ancora più importante – è coerenza, etica legata all’estetica, è creare l’humus nel quale fioriscono i lavori ben fatti.

E’ ripetere, fra tanti cattivi maestri (e prima di tutto a se stessi), con Izet Sarajlic: “Non abbiate fretta di diventare poeti, ragazzi.
Restate più a lungo nella fase pre-poetica.
Essere poeti nella vita non è lo stesso che essere poeti nella favola.
Poesia sono le sconfitte. Alla fine magari vi aspettano davvero le rose,
ma a lungo ci sono solo le spine, a destra e a sinistra. Non abbiate fretta di gloria,
restate quanto più a lungo ragazzi,
e quando non ce la farete più
 allora nascerà la Poesia”.

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