La presidente del Consiglio anche dal vertice in Lapponia mette al primo posto dell'agenda la missione di trasferimento dei naufraghi salvati nel Mediterraneo fuori dall'Ue: "Stiamo avendo qualche problema di interpretazione di regole ma lo stiamo superando"
La manovra finanziaria impacchettata in fretta e furia dopo una via crucis, la sanità che continua a mandare segnali d’allarme (nonostante i finanziamenti stanziati dal governo), il preoccupante filotto della produzione industriale al 21esimo ribasso consecutivo, i tentativi di assalto alla magistratura dopo l’assoluzione di Matteo Salvini. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni fa lo […]
La manovra finanziaria impacchettata in fretta e furia dopo una via crucis, la sanità che continua a mandare segnali d’allarme (nonostante i finanziamenti stanziati dal governo), il preoccupante filotto della produzione industriale al 21esimo ribasso consecutivo, i tentativi di assalto alla magistratura dopo l’assoluzione di Matteo Salvini. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni fa lo slalom tra le varie questioni di politica interna e, anche in Lapponia finlandese, anche a cavallo del Circolo polare artico, anche dopo un vertice Nord-Sud (nel senso di Europa) orientato alla sicurezza dei confini con un occhio a cosa fa la Russia, la sua rotta resta una: l’Albania. Lunedì, 23 dicembre, col Parlamento già con un piede in vacanza (la Camera riaprirà il 7 gennaio), la premier ha convocato una riunione sul tema del progetto del centro di Gjader, azzoppato da diverse pronunce di diversi tribunali e in attesa delle decisioni della Corte europea di giustizia. Un vertice per “capire come procedere” dice Meloni. D’altra parte la leader di Fratelli d’Italia l’aveva anticipato e promesso alla platea del suo partito nel comizio finale della festa di Atreju al Circo Massimo con quella frase che ha fatto il giro di tutti i telegiornali e di tutti i talk show: “I centri in Albania fun-zio-ne-ran-no – aveva scandito – Dovessi passarci ogni notte da qui alla fine del governo italiano perché io voglio combattere la mafia”, nel senso delle organizzazioni criminali che si approfittano dei flussi migratori.
Per la presidente del Consiglio la Cassazione – con la sentenza di tre giorni fa – ha dato “ragione al governo”: “E’ diritto dei governi stabilire quali siano i Paesi sicuri” mentre i giudici possono “entrare nel singolo caso, non disapplicare in toto”. Il dibattito sul tema in realtà è di là da finire anche perché la Suprema Corte ha sottolineato che “il potere di accertamento del giudice non può essere limitato”. Ad ogni modo l’orientamento di Meloni è “pensare ‘out of the box’, fuori dagli schemi – dice -: l’Italia è stata la prima a fare un accordo con un Paese extra Ue, stiamo avendo qualche problema nell’interpretazione delle regole ma lo stiamo superando, penso che sia un nuovo modo di affrontare questo problema”.
Per una nuova lista europea dei Paesi sicuri si andrà oltre marzo, ammette: “Ci vorrà di più”. Ma la premier confida nelle regole “del nuovo patto Ue in materia di migrazioni” che – spiega – “ci aiuteranno di più ad affrontare questo problema, devono essere date risposte migliori sulla questione dei rimpatri“. “Penso – chiarisce – che negli ultimi due anni abbiamo lavorato bene nel gestire in modo diverso l’immigrazione illegale, nel non lasciare ai trafficanti la decisione su chi deve entrare e chi no. I nostri confini sono diversi e hanno bisogno di strumenti diversi, quello che succede in Finlandia può avere efficacia ma non può essere replicato nel Mediterraneo“, ha proseguito la presidente del Consiglio. Così il gancio tra le esigenze di sicurezza ai confini in Finlandia e in Italia diventa questo: “Vogliamo difendere i confini esterni e non vogliamo permettere alla Russia o alle organizzazioni criminali di minare la nostra sicurezza”.
Ad ogni modo questa strategia generale su cui punta la presidente del Consiglio al momento non si incrocia nemmeno per un centimetro con la sentenza Open Arms che ha assolto il vicepremier Matteo Salvini, ex ministro dell’Interno che tale rimane a detta della capa del governo: “Mi pare un fatto che l’oggetto del processo a Salvini fossero le sue scelte politiche piuttosto che effettivi reati e che la giurisdizione sia stata usata per condizionare la politica” ma “oggi sia io che Salvini siamo contenti dell’ottimo lavoro che sta facendo il ministro dell’Interno“. Insomma l’ipotesi (o il sogno) del leader leghista di tornare al Viminale sembra già un po’ velato dalle sfumature di un crepuscolo.