Mafie

La bomba sul Rapido 904 a due giorni dal Natale: la prima strage terroristica di mafia

La mattina di lunedì 23 dicembre una delegazione della Cgil di Bologna raggiungerà la stazione centrale di Napoli per partecipare alla commemorazione della strage sul Rapido 904, in occasione del 40° anniversario della bomba esplosa su quel treno nell’antivigilia di Natale del 1984, mentre gran parte dei passeggeri stava raggiungendo i parenti a Milano per le festività. Nella stessa giornata, grazie alla collaborazione tra l’Associazione familiari vittime e Libera, in ciascuna delle stazioni ferroviarie d’Italia in cui il Rapido 904 quarant’anni fa effettuò – o avrebbe dovuto effettuare – le singole fermate, gruppi di volontari leggeranno i nomi delle 16 vittime innocenti della strage. Le letture avverranno, in corrispondenza con gli orari d’arrivo del treno, presso i tabelloni delle partenze all’interno delle rispettive stazioni: Napoli Centrale alle 12.55; Roma Termini alle 15.10; Firenze Santa Maria Novella alle 18.23 (qui salì sul treno l’ignoto soggetto che collocò la bomba sulla retina portabagagli della carrozza n° 9); Vernio alle 19.00; San Benedetto Val di Sambro alle 19.08; Bologna alle 19.46; Milano alle 22.00.

È la prima volta che la mafia (Cosa Nostra, in collaborazione con la camorra) compie una strage di matrice terroristica, peraltro lontano dalla Sicilia e dal sud. È anche la prima volta che viene utilizzato un radiocomando a distanza, anziché un timer. Inoltre è la prima volta che tra gli ingredienti della bomba c’è il Semtex: lo ritroveremo qualche anno dopo nel fallito attentato a Falcone all’Addaura e nella strage di via D’Amelio. Dettagli? No. Si scoprirà che Riina e soci avevano programmato una stagione di attentati terroristici per rispondere all’offensiva dello Stato contro la mafia.

L’uccisione di Pio La Torre e del Generale dalla Chiesa (1982) avevano provocato una reazione nella società italiana. Dopo l’omicidio del suo autore, era stata approvata la legge Rognoni-La Torre sulla confisca dei beni ai mafiosi. Come se non bastasse, nell’estate 1984 era arrivato dal Brasile il primo boss pentito, Tommaso Buscetta, che aveva cominciato a raccontare a Falcone i segreti di Cosa Nostra.

Mancavano due giorni a Natale in quel lontano 1984. A Palazzo Chigi c’era Bettino Craxi. Erano gli anni del CAF: Craxi, Andreotti e Forlani; i tre leader politici che avevano concordato di affidare la Presidenza del Consiglio all’ambizioso segretario del Psi. Dopo l’assassinio di Aldo Moro, la Dc aveva infatti approvato il cosiddetto “preambolo” che escludeva qualunque accordo di governo con il Pci. Fino al 1993 le maggioranze di governo si reggeranno tendenzialmente su 5 partiti: Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli.

Dall’altra parte dell’oceano la Casa Bianca ha come inquilino l’ex attore hollywoodiano Ronald Reagan. Divenuto presidente alla fine del 1980 – anche grazie agli intrallazzi del “faccendiere” Francesco Pazienza e dell’agente segreto Michael Ledeen – il repubblicano Reagan è impegnato principalmente su due fronti: 1) rilanciare la guerra fredda, evocando lo spettro di conflitti nucleari (sua la definizione dell’Unione Sovietica come “impero del male”); 2) imporre la ricetta neoliberista all’economia degli Usa e delle sue “colonie”. Nel frattempo l’Italia è immersa nella stagione del riflusso: abbandonato l’impegno politico diffuso, i più si concentrano sul privato dedicandosi a edonismo e consumismo. “Born in the Usa” di Bruce Springsteen fa da colonna sonora a un’estate iniziata con l’improvvisa scomparsa di Enrico Berlinguer; dieci giorni dopo la morte del leader comunista, il 21 giugno a Bologna Francesco Guccini incanta i 150.000 spettatori di un mitico concerto che, da un certo punto di vista, segna la fine di un’epoca.

A luglio Tina Anselmi presenta la relazione finale della Commisione d’inchiesta sulla P2. A ottobre il governo Craxi vara in fretta e furia il cosiddetto “decreto Berlusconi”, per consentire alla Fininvest di proseguire le trasmissioni, in barba alla sentenza dei pretori che avevano oscurato le tre reti dell’imprenditore mianese (il cui nome, tre anni prima, era apparso tra gli iscritti alla P2), accusate di violare la normativa in materia di divieto di interconnessione tra tv locali. Il 3 novembre viene arrestato Vito Ciancimino, ex sindaco, mafioso e democristiano, di Palermo. Insomma, i Palazzi tremano.

Alle 19.08 del 23 dicembre a tremare, invece, è la Grande Galleria dell’Appennino, dove rimbomba l’eco della bomba che ha appena devastato la carrozza numero 9. Il radiocomando confezionato dal tedesco Friedrich Schaudinn (condannato definitivamente, morto impunito nel 2014) ha funzionato alla perfezione: l’esplosione è avvenuta circa a metà della galleria, in modo da creare il maggior danno possibile. Non come dieci anni prima, quando la bomba sul treno Italicus era esplosa mentre il treno era quasi all’uscita della galleria. I macchinisti del Rapido 904 sono riusciti ad avvisare i loro colleghi, fermando in tempo la corsa dell’altro treno che sarebbe dovuto entrare in galleria di lì a poco: poteva essere una strage peggiore di quella alla stazione di Bologna.

Tra i mandanti viene condannato il boss Pippo Calò. Tra i variegati soggetti coinvolti nei processi degli anni 80/90 c’è il deputato Msi Massimo Abbatangelo, che alla fine non sarà condannato per concorso in strage: sarà condannato “solo” per il possesso di esplosivo; casualmente lo stesso utilizzato nella strage. Nel 2014 si apre un nuovo processo, Totò Riina è accusato di essere il principale mandante della strage. Nel 2015 il primo grado si chude con un’assoluzione. Nel novembre 2017 Riina muore e il processo evapora. A febbraio 2024 la Procura di Firenze ha riaperto le indagini sulla strage: questa storia, quasi dimenticata, non è ancora finita. Non è una piccola storia. È, purtroppo, parte essenziale della storia d’Italia.

Rosaria Manzo, presidente dell’Associazione familiari vittime, ha le idee chiare: “In tutti questi anni molti pezzi non si sono incastrati e laddove si pensava di essere giunti ad una soluzione in merito a cause, autori, mandanti, colore politico, ci si è poi dovuti arrendere a dinamiche processuali e giudiziarie che hanno riportato la battaglia per la verità quasi al punto di partenza. Eccoci, dunque, nella scomoda opera di ricostruire di dover recuperare pezzo dopo pezzo i frammenti che però il passare del tempo sta piano piano spazzando via. Cosa accadrà? Il futuro ci riserva molte incertezze”.