Sono solo 18mila le imprese potenzialmente beneficiarie dell’Ires premiale, la riduzione di 4 punti percentuali dell’imposta prevista in manovra solo per il 2025. È quanto emerge dalla relazione che accompagna la legge di Bilancio approdata in Senato. Le condizioni sugli utili, gli investimenti e l’occupazione da rispettare per avere accesso al vantaggio chiesto da Confindustria sono molto restrittive, il che limita la platea a una piccola quota delle centinaia di migliaia di società di capitali con sede in Italia.
Per vedersi ridurre l’aliquota le società dovranno accantonare l’80% dell’utile netto che risulta dal bilancio al 31 dicembre 2024 (e mantenerlo fino al 2026 compreso). In più dovranno utilizzare almeno il 30% dell’utile accantonato (scegliendo il valore più alto della riserva tra l’anno 2023 o il 2024) per investire in beni strumentali con caratteristiche 4.0 o 5.0, avere nel 2025 un numero di dipendenti non inferiore alla media del triennio 2022-2024 e assumere nuovi lavoratori a tempo indeterminato con un aumento dell’1% del numero medio dei dipendenti rispetto al 2024 e infine non aver fatto ricorso alla cig, tranne che per eventi transitori e non imputabili all’impresa.
La relazione individua come “potenziali beneficiarie della norma le imprese che hanno effettuato nuove assunzioni in misura tale da garantire un incremento occupazionale pari ad almeno l’1% rispetto all’anno precedente, con minimo una nuova assunzione, e il cui numero di lavoratori non sia diminuito rispetto alla media del triennio precedente. In un’ottica di prudenza, sono state incluse nella platea dei potenziali beneficiari anche le imprese che, al fine di rispettare i requisiti per l’accesso alla riduzione di aliquota, possono incrementare le assunzioni senza variare in misura superiore al 10% la consistenza del proprio personale”.
Così “sono state identificate 824mila società di capitali che trattengono, in aggregato, 195 miliardi di euro a fronte di utili civilistici pari a 301 miliardi (il 65% degli utili è stato accantonato)”. Nell’ambito di questa platea, “rispettano tutte le condizioni (sugli utili, sugli investimenti e sull’occupazione), circa 18 mila imprese, che hanno complessivamente accantonato utili in misura pari a 8 miliardi di euro a fronte di utili civilistici complessivi pari a 11 miliardi (si stima che l’80% degli utili sia accantonato)”. Si stima che queste imprese “effettuino investimenti nel biennio 2025-2026 in misura pari a 11 miliardi di euro, su un totale degli investimenti Transizione 4.0 di 27 miliardi di euro (42%), e 109mila nuove assunzioni“.
La misura vale 349,9 milioni nel 2025 e 116,6 milioni nel 2026, cifra ben lontana dal compensare l’abolizione dell’Aiuto alla crescita economica (Ace) decisa dal governo Meloni a fine 2023: con la cancellazione di quell’agevolazione fiscale, nata nel 2011 per incentivare il reinvestimento degli utili in azienda, l’imposizione sulle imprese è salita di 4,8 miliardi.