Il figlio ultretrentenne ha smesso di dare esami all’università, il padre smette di pagargli le tasse dell’Ateneo. E il giudice dà ragione al genitore. È questa la decisione, come riporta Il Messaggero, della Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso presentato dal giovane e dalla madre: accusavano il padre di aver violato gli obblighi di mantenimento stabiliti durante il divorzio. La Corte ha invece riconosciuto che l’atteggiamento del figlio rappresenta una forma di “inerzia colpevole”, giustificando così l’interruzione del pagamento delle spese universitarie. Il giovane, iscritto dal 2009 a un corso di laurea triennale in giurisprudenza, non sosteneva esami dal 2017, nonostante il padre continuasse a versare 600 euro al mese per il mantenimento, oltre a coprire il 70% delle spese straordinarie, incluse le tasse universitarie. Il sostegno economico si è protratto fino al 2017, anno in cui il figlio ha smesso di portare avanti qualsiasi attività universitaria.

I giudici di primo e secondo grado avevano già evidenziato che il mancato progresso negli studi fosse imputabile esclusivamente al giovane. Nonostante i mezzi economici a disposizione, questi non aveva dimostrato alcun impegno per concludere il percorso di studi o per diventare economicamente indipendente. La Cassazione ha riaffermato un principio chiave: il diritto al mantenimento per i figli maggiorenni è subordinato alla prova di un impegno concreto verso l’autonomia economica. Una dipendenza prolungata e ingiustificata non può essere tollerata, a meno che non sia dimostrata l’esistenza di ostacoli oggettivi e documentati. I giudici hanno inoltre sottolineato che il sostegno economico dei genitori non può proseguire indefinitamente in assenza di risultati. Come chiarito nella sentenza, “gli ostacoli personali al raggiungimento dell’autosufficienza devono essere provati e non possono essere attribuiti genericamente alla condotta di un genitore”.

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