Lo speaker impazzito aizza il pubblico al grido di “Romano, Romano!”, e i tifosi esultano evocando a squarcia gola il nome del Duce, col saluto fascista. Questa scena, che probabilmente nessuno avrebbe mai immaginato di poter vedere in uno stadio italiano, non viene da qualche futuro distopico, non è stata generata con l’AI. È reale e infatti ha già fatto il giro del mondo. Un’altra splendida pubblicità per il nostro calcio.
È successo quello che era facile prevedere sin da quando Romano Floriani Mussolini, figlio di Alessandra, pronipote di Benito, muoveva i suoi primi passi nelle giovanili della Lazio, subito attenzionato da curiosità e attenzioni per quel (secondo) cognome pesante che porta. Siccome il ragazzo è pure bravino, era solo questione di tempo perché debuttasse fra i professionisti e segnasse la sua prima rete: domenica, in Serie B, nella vittoria della Juve Stabia (la squadra in cui gioca in prestito) contro il Cesena. Se il gol era inevitabile, molto meno lo spettacolo andato in scena sugli spalti, dove, oltre al trasporto con cui è stato urlato quel cognome (il che si poteva sempre giustificare con l’esultanza per il gol), si sono distinte nitidamente una serie di braccia tese e saluti romani, davvero questi non giustificabili.
Che nel 2024, in uno stadio italiano, possa ancora verificarsi una manifestazione così nostalgica del fascismo è semplicemente inaccettabile. Che fare, però. Lo speaker non avrebbe dovuto festeggiare la rete ed invocare il nome del marcatore, come fa per qualsiasi altro calciatore della squadra? Ha fatto semplicemente il suo lavoro. Semmai, si potrebbe obiettare, lo stadio avrebbe dovuto urlare un altro cognome, “Floriani”, e non “Mussolini”. Ma qui entra in scena il diretto interessato, che all’inizio della carriera portava solo il primo cognome sulla maglia, poi aveva aggiunto una M puntata, e invece ha invertito lo schema, lasciando la F iniziale e scegliendo il cognome della madre.Il ragazzo lo ha anche rivendicato in una recente intervista alla Gazzetta dello Sport, dove parla del suo bisnonno come di “una figura importante dell’Italia degli anni passati”, bell’eufemismo per riferirsi a un dittatore. Ma che sia per ragioni affettive o d’altro tipo, si tratta di una scelta personale che non si può sindacare. Sulla sua maglia, sul tabellino, compare “Romano F. Mussolini”, e così anche il pubblico è legittimato a chiamarlo.
Se lo speaker allora non ha colpe, se il giocatore è liberissimo di farsi chiamare col cognome che preferisce (non siamo certo alla damnatio memoriae), la verità allora è che gli unici responsabili dell’accaduto sono i tifosi: l’episodio di Castellamare ha dimostrato, una volta di più, che le curve continuano ad essere popolate da frange di estrema destra. Negli stadi italiani c’è un fascismo latente, pronto a manifestarsi nostalgicamente alla prima occasione utile. Stavolta, l’assist gliel’ha fatto proprio Mussolini (F.).
E se la scena iniziale vi era già sembrata abbastanza squallida, immaginatevi la prossima. Il ragazzo fa carriera (glielo auguriamo tutti), torna alla Lazio (il club che ne detiene il cartellino) e all’esordio in Serie A fa impazzire la curva nord della Lazio. Che quanto a simpatie di destra non è inferiore a nessuno. Per fortuna è solo un terzino: almeno non segnerà troppo.