Nel suo ultimo libro l'imprenditore molisano che ha dato vita a Dynamo Camp delinea le caratteristiche essenziali di un'impresa sociale e poi va oltre: la tassa che vale 5 miliardi l'anno, "avrebbe conseguenze infinite, eliminerebbe una quantità inimmaginabile di dolore. E intanto nella vita dei donatori non cambierebbe niente"
Dynamo Camp, sull’Appennino pistoiese, è senza dubbio una buona storia di un’impresa riuscita. Sia per i suoi utenti che per i finanziatori. I primi sono bambini e ragazzi che soffrono di patologie gravi o croniche e in alcuni casi le loro famiglie: sono in tanti, circa 80mila nell’arco di 18 anni, ad aver sperimentato il […]
Dynamo Camp, sull’Appennino pistoiese, è senza dubbio una buona storia di un’impresa riuscita. Sia per i suoi utenti che per i finanziatori. I primi sono bambini e ragazzi che soffrono di patologie gravi o croniche e in alcuni casi le loro famiglie: sono in tanti, circa 80mila nell’arco di 18 anni, ad aver sperimentato il diritto alla felicità con al massimo tre esperienze di terapia ricreativa per periodi che vanno dal weekend lungo agli 8 giorni. I secondi perché hanno visto il loro seme fiorire e fruttare, con la macchina che ha via via camminato sulle sue gambe: Fondazione Dynamo, l’ente che gestisce il Camp, ha raggiunto la sostenibilità economico finanziaria da almeno un decennio e vive di raccolta fondi , le fonti nel 2024 sono stati individui (36%), aziende (36%), fondazioni e associazioni (27%) e settore pubblico (1%).
Dynamo, come dice Enzo Manes che nel 2003 ha dato vita a questa realtà e alle sue ormai numerose ramificazioni insieme a un nucleo compatto di persone, “è un luogo che non puoi raccontare: ci devi portare le persone, far godere loro della sua straordinaria bellezza: nei luoghi, nello scopo, nei modi di fare, nell’organizzazione”. Nel suo libro fresco di stampa Nessuno basta a se stesso (Piemme, 2024), l’imprenditore molisano formatosi nell’alta finanza americana di fine anni ottanta, ripercorre il suo percorso esistenziale fino all’incontro-scontro con il bene comune e, quindi, con la nascita di Dynamo.
“Se provo a dare una spiegazione in retrospettiva alla nascita di Dynamo, forse è proprio questa: aver prima sentito, poi capito, quanto fosse sbilanciato il rapporto tra fortuna e merito nella mia vita. Quanto ancora bisognasse ragionare come una comunità su questi temi, e quindi prendere la responsabilità di azioni individuali“, scrive Manes nel volume che è anche l’occasione per tracciare delle linee guida essenziali alla creazione, alla crescita e alla sopravvivenza di una buona impresa sociale.
Regola principe è che “un progetto può funzionare solo se è portato avanti da un buon management, fatto di persone generose, attente alla bellezza, straordinariamente concrete. […] Insomma per dare concretezza a un progetto bisogna per prima cosa ragionare sulle persone che lo faranno vivere”. Ancora di più che nel mondo delle imprese cosiddette normali. “Nel business essere poco concreti porta al massimo a perdere una buona occasione. Nella cura, la differenza fra occuparsi di azioni o unicamente di idee genera conseguenze reali sulle condizioni di una persona fragile, ha un profondo effetto trasformativo su una vita in condizione di necessità”, scrive Manes che è molto severo con le parole a vuoto. “Il rischio insito nella industry della cura – nota – sta nel fatto che è una manna per chi non ha voglia di fare, ma ambisce a qualche riconoscimento. In un’industria se le spari grosse tendenzialmente sei subito fuori. Nella cura, paradossalmente, più le spari grosse e più hai visibilità, se non c’è qualcuno a misurare la concretezza delle tue parole”.
“Il mio sogno (lucido e a occhi aperti) è che non ci sia più ammirazione speciale per le persone di Dynamo, per i filantropi che si prendono cura di una causa o dell’altra: ma che tutto questo, a un certo punto, possa sembrare a tutte le persone formate all’idea di bene comune la cosa più naturale e più giusta del mondo”. Non solo. L’autore, che devolverà tutti i proventi del libro alla Fondazione Dynamo, fa un passo in più. “La mia scommessa di vita, che si riflette in questo libro, consiste nel rendere naturale e duratura la creazione di ‘milioni di centri di energia’. Nel passaggio da ‘dono a chi è più sfortunato’ a ‘dono perché sono fortunato’ abbiamo la possibilità di portare, ciascuno di noi, un contributo enorme e sostenibile al bene comune”. Quindi la proposta, anzi le proposte. Innanzitutto quella formativa universitaria, tramite l’attivazione di percorsi di specializzazione sui temi di sostenibilità e imprenditoria sociale, come quelli che Dynamo Academy ha avviato con la Luiss Business School. Dunque la formazione dei manager della filantropia del futuro. E poi la raccolta del denaro necessario alle imprese del bene comune tramite una good tax. “Se tutti in Italia decidessimo di donare l’uno per mille della nostra ricchezza finanziaria, accadrebbe qualcosa di enorme… Questo piccolo uno per mille avrebbe conseguenze infinite, eliminerebbe una quantità inimmaginabile di dolore. E intanto nella vita dei donatori non cambierebbe niente. Zero”, sostiene Manes che parla di “donazione obbligatoria per sostenere le attività di interesse generale”. Un’idea che secondo i suoi calcoli vale 5 miliardi di euro l’anno. “E questa sarebbe solo una porzione. L’altra potrebbe arrivare da una ‘tassa sulla fortuna’. Un’imposta di successione, legata solamente alle eredità dal quarto grado di parentela in giù”.
Su questo punto Manes è granitico: vantaggi incommensurabili, rinunce reali zero, obiezioni inaccettabili: “E se qualcuno non è d’accordo, chiedetegli se ha idee migliori per risolvere concretamente, e non solo per filosofeggiare, le ingiustizie che voi stessi osservate ogni giorno ‘nel lato in ombra della strada’”.