Non ho niente contro le luci di Natale in sé, ci mancherebbe. Mi piace il Natale illuminato, mi piace la sensazione di festa. La vita non è facile, il mondo è pieno di sciagure, festeggiare è cosa giusta e bella. Ma negli ultimi anni si è esagerato in due direzioni: primo, la quantità di luci messe ovunque.

Cominciano bar e ristoranti già da fine ottobre, ormai i locali vengono letteralmente impacchettati di luci, e così spesso anche gli alberi vicini. Ma anche le istituzioni non sono da meno. Faccio un esempio romano. Appena ci si avvicina alle feste il Teatro dell’Opera di Roma avvolge tutte le piante davanti, soprattutto palme maestose, di luci. La sensazione è che siano letteralmente soffocate dai fili di luminarie. Ma lo stesso potrei dire dell’Orto Botanico di Roma, che ogni anno, per incassare soldi, trasforma un posto pubblico (la sera) in un tripudio di luci che certo non giovano alle specie arboree presenti.

A Natale come non mai si vede come le piante vengano trattate da oggetti inerti, morti. Invece, al contrario, sono vive e per portare avanti la loro fotosintesi hanno bisogno di buio. Per questo esistono delle norme sulle luci nelle città, che dovrebbero essere spente, quelle che non servono per la sicurezza, una volta chiuso il bar o ristorante. A Natale, invece, non accade. Certo, ci sono delle deroghe per il Natale, ma valgono solo per pochi giorni, invece ormai le luci di Natale iniziano a novembre e finiscono a gennaio inoltrato.

Ma non sono solo le luci: a Natale le città si trasformano in giganteschi luna park. Una delle cose più insensate che ormai vanno di moda sono le piste ghiaccio. Costose, invasive, ma soprattutto importate da tradizioni del nord Europa che onestamente alle nostre latitudini hanno poco senso. Quest’anno il Natale ci ha regalato un freddo che non sentivamo da tempo, ma gli ultimi Natali sono stati tristemente tiepidi e solcare piste di ghiaccio in maglietta fa sinceramente malinconia (al di là dell’impatto ambientale, appunto).

Infine, l’altra mania del Natale sono i cosiddetti villaggi di Natale o di Babbo Natale. Ce ne sono vari, non sono tutti uguali, alcuni sono gratuiti, ma – parlo sempre della mia città – spesso prevale il modello parco-giochi-per-spennare-le-famiglie. A Roma, ad esempio, ormai è fisso un villaggio di Natale a Villa Borghese. Ogni anno che passa i costi aumentano, e anche in maniera poco trasparente perché, anche se il biglietto di ingresso non costa molto, ogni intrattenimento all’interno è a pagamento e alla fine si esce o frustrati o spennati.

Sarebbe troppo retrò dire che tutto ciò non è consono al vero spirito del Natale, che ormai nessuno sa quale sia (d’altronde, a Roma le istituzioni e non solo confondono pellegrini e turisti “altospendenti” e gli alberi di Natale sono firmati da aziende di lusso). Ma si potrebbe cercare almeno di fare un’illuminazione che non disturbi la vista e la poca biodiversità rimasta in città. E anche evitare di trasformare il Natale in una macchina da soldi, con eventi a pagamento di ogni tipo e villaggi natalizi a carissimo prezzo.

Ma certo, ripeto, per fare questo bisognerebbe avere un’alternativa rispetto a un certo modo di vivere il Natale, che forse non c’è. E così il vuoto di senso e valori viene riempito da un capitalismo ormai senza vincoli che utilizza le feste per far crescere il Pil e arricchire le tasche di alcuni. Perché tanto, finite le feste e finalmente spente le luci, i ricchi restano ricchi e i poveri poveri.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Sfatiamo la falsa credenza: la montagna non può salvarci. E Paolo Cognetti l’ha ammesso

next