L'associazione che riunisce i familiari delle vittime della strage del 27 maggio 1993 commenta le parole del procuratore toscano
Una frase pronunciata dal procuratore di Firenze, Filippo Spiezia, provoca la reazione dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili. “Le inchieste sulle stragi di mafia ancora aperte saranno chiuse nel 2025“, ha detto il capo dell’ufficio inquirente toscano, incontrando i giornalisti per i tradizionali auguri di Natale. “Ci sono diversi fascicoli […]
Una frase pronunciata dal procuratore di Firenze, Filippo Spiezia, provoca la reazione dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili. “Le inchieste sulle stragi di mafia ancora aperte saranno chiuse nel 2025“, ha detto il capo dell’ufficio inquirente toscano, incontrando i giornalisti per i tradizionali auguri di Natale. “Ci sono diversi fascicoli aperti da troppo tempo, è arrivato il momento di chiuderli”, ha detto ancora Spiezia, riferendosi chiaramente all’indagine sui mandanti esterni delle stragi del 1993. L’inchiesta è stata lungamente coordinata dai procuratori aggiunti Luca Tescaroli e Luca Turco: il primo guida ora la procura di Prato, mentre il secondo è appena andato in pensione.
Per le bombe a Firenze, Milano e Roma sono indagati Marcello Dell’Utri, che ha già scontato una condanna a sette anni per concorso esterno alla mafia, e l’ex generale del Ros dei carabinieri Mario Mori, assolto al processo sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi dello Stato e la mafia. Era indagato fino al giorno della sua morte anche Silvio Berlusconi. “Come Associazione tra i familiari delle vittime della strage dei Georgofili, auspichiamo non una chiusura, ma la conclusione delle indagini con il rinvio a giudizio degli indagati, affidando al dibattimento la ricostruzione dei fatti e l’accertamento delle responsabilità, in particolare quelle di Dell’Utri, non fosse altro per gli elementi a suo carico già accertati in altre sentenze”, dice Luigi Dainelli, presidente dell’associazione che riunisce i parenti delle persone morte il 27 maggio del 1993. “Dalle parole del procuratore, se correttamente riferite, sembra emergere il rischio di una archiviazione che vanificherebbe il lavoro egregio condotto in questi anni dai magistrati Tescaroli e Turco che ci hanno fatto sperare di giungere alla completa verità sui fatti del ’93. Lo pretendiamo per i nostri morti – aggiunge Dainelli – ma anche nella convinzione che solo il completo svelamento delle trame che stanno dietro le stragi del biennio ’92-’93 sarebbe l’unico antidoto perché in futuro non si possano mai più ricreare le condizioni per un simile attacco alle istituzioni democratiche, considerato che, a dispetto del tempo trascorso, certi poteri e interessi sono ancora ben presenti e attivi, come dimostrano gli ostacoli che hanno costantemente cercato di impedire l’emergere della verità“. Se invece, conclude il presidente, “la volontà fosse davvero quella di archiviare, ci aspettiamo, per i nostri morti e per il dolore ininterrotto di questi trent’anni, che non si concluda con un atto burocratico, ma la procura di Firenze abbia la sensibilità di confrontarsi con la nostra associazione“.
Negli ultimi trent’anni l’indagine sulle stragi del 1993 è stata aperta e archiviata per ben quattro volte. Dopo aver ottenuto la condanna del gotha di Cosa nostra – Totò Riina, Leoluca Bagarella, Matteo Messina Denaro, Filippo e Giuseppe Graviano – la procura di Firenze ha tentato d’individuare i mandanti politici delle “bombe in Continente”, cioè quelle fuori dalla Sicilia. In questo senso Dell’Utri è indagato per aver “istigato a organizzare e attuare la campagna stragista” con l’obiettivo di “contribuire a creare le condizioni per l’affermazione di Forza Italia” in cambio della promessa, “a seguito del favorevole risultato elettorale ottenuto da Berlusconi, di indirizzare la politica legislativa del governo verso provvedimenti favorevoli a Cosa nostra“. A Mori, invece, viene contestato di non aver impedito “gli eventi stragisti di cui aveva avuto plurime anticipazioni pur avendone l’obbligo giuridico”. Nel maggio scorso, dopo aver appreso la notizia dell’indagine a suo carico, l’ex generale del Ros è stato ricevuto a Palazzo Chigi dal sottosegretario Alfredo Mantovano, uno degli uomini più fidati di Giorgia Meloni.