Crime

Delitto di via Poma: “Il portiere Pietro Vanacore ha rivelato la verità su Simonetta in una lettera rimasta segreta fino ad ora”

Sin dal primo momento e fino alla tragica e decisamente strana morte, avvenuta nel 2010, il portiere è stato al centro delle indagini e anche dell’inchiesta, la seconda per l’omicidio di Simonetta che vedeva come imputato il fidanzato di lei Raniero Busco

C’è un uomo che non è mai uscito dalla scena del delitto di Via Poma: Pietro Vanacore, il portiere dell’elegante palazzotto romano che ospitava l’ufficio sede dell’Aiag in cui fu trucidata il 7 agosto del 1990 Simonetta Cesaroni. Sin dal primo momento e fino alla tragica e decisamente strana morte, avvenuta nel 2010, il portiere è stato al centro delle indagini e anche dell’inchiesta, la seconda per l’omicidio di Simonetta che vedeva come imputato il fidanzato di lei Raniero Busco. Busco è stato scagionato perché innocente, come è accaduto anche a Vanacore che fu il primo su cui caddero tutti i sospetti, all’epoca. Solo che lui a differenza di Busco non ci andò neanche a processo. Gli inquirenti lo scarcerarono dopo pochi giorni, possiamo immaginare perché certi di non rilasciare un assassino a piede libero. Ma allora perché l’uomo ha sempre catalizzato su di lui ombre e riflettori di questo mistero?

Il memoriale
Partiamo dall’ultimo pezzo del mosaico emerso negli anni, sul ruolo del portiere: una rivelazione pubblicata oggi dal quotidiano Repubblica. Si tratta di una lettera olografa che Vanacore avrebbe lasciato prima del suo strano suicidio avvenuto nel 2010. Secondo la gip Arcieri che pochi giorni fa ha respinto la richiesta di archiviazione delle indagini, Pietrino avrebbe scritto in questo memoriale di essere “stato costretto a mentire perché ricattato” per ben 20 anni. La lettera avrebbe contenuto l’indicazione di distruggere la stessa con la morte di Giuseppa De Luca, vedova di Vanacore. La fonte di questa notizia, riporta Repubblica, è un giornalista che si sarebbe occupato del caso e che in passato è stato ascoltato dai magistrati. Ma questa lettera esiste davvero? Secondo la giudice Arcieri “È del tutto plausibile che Vanacore abbia inteso proteggere i familiari con la rivelazione di una verità da lui tenuta nascosta per 20 anni. Nel solo caso ciò si rendesse necessario per proteggere i familiari”. Una forma di protezione, quindi. Un ultimo gesto estremo compiuto solo per tutelare la famiglia e la moglie Giuseppa che, secondo il gip “conosce molto di più di quanto dichiarato agli inquirenti”. “Non si vede perché non si dovrebbe percorrere questa pista che potrebbe fare luce sulla vicenda”, ha aggiunto Arcieri. Entra in gioco a questo punto anche il figlio del portiere, Mario Vanacore. Tra le persone che verranno convocate dai pm c’è anche Sergio Costa, ex agente dei Servizi Segreti più volte tirato in ballo perché intravisto quella sera in via Poma. In un’intervista al settimanale Gente, parlando di Costa, Vanacore figlio disse: “Mio padre lo vide. Vide anche l’altro, probabilmente”, riferendosi a chi? C’è un’altra sagoma che emerge dal buio ed è quella della moglie di Mario Vanacore, presente anche lei insieme al marito la sera in via Carlo Poma. La donna non ha mai parlato del caso ma secondo la Arcieri deve essere anche lei interrogata “su tutto quanto a sua conoscenza”. Se questo scenario fosse verosimile, viene da chiedersi quale segreto abbia portato con sé Vanacore nella tomba, talmente inconfessabile da preferire la morte?

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Il suicidio di Vanacore
Vanacore si suicidò nel marzo del 2010, alla vigilia della sua deposizione al processo contro Busco per l’omicidio di Simonetta. Annegò in pochi centimetri d’acqua a Maruggio, il suo paese natale in provincia di Taranto dove si ritirò dopo la brutta storia di via Poma. All’epoca dei fatti, secondo l’avvocato di Busco, Paolo Loria, la sua morte era troppo vicina alla sua deposizione al processo per non esservi collegata (fonte: Repubblica del 9 marzo 2010). Sempre secondo Loria, il portiere non se la sentì di affrontare il processo, giudici e avvocati ma il suicidio resta sempre una scelta controversa se consideriamo che avrebbe potuto appellarsi alla facoltà di non rispondere. Il portiere di via Poma fu il primo ad essere arrestato per l’omicidio della ragazza, pochi giorni dopo il delitto, il 10 agosto, dopo essersi contraddetto sull’alibi pomeridiano e serale: venne poi scarcerato dal tribunale del Riesame il 30 agosto e la sua posizione fu archiviata il 26 aprile del 1991. Tuttavia non è mai uscito dalle indagini: compare ancora in una relazione di 50 pagine dei carabinieri in forza al nucleo di polizia giudiziaria della Procura di Roma, depositata in segreteria il 25 ottobre 2023. In questo rapporto si citano “i comportamenti anomali, inconsueti e innaturali assunti dai coniugi Pietrino Vanacore e Giuseppa De Luca a cominciare dai momenti immediatamente precedenti alla scoperta del cadavere della Cesaroni e reiterati nel tempo”.

I punti oscuri
Anche la Corte d’Assise di appello di Roma nella motivazione della sentenza con cui fu assolto Busco descrisse “i punti oscuri della vicenda rispetto alle condotte dei coniugi Vanacore”. Quali sono questi punti oscuri? Sono ormai noti: la resistenza della portiera a consegnare le chiavi dell’appartamento al personale delle volanti della Polizia. Cambia nel tempo il modo in cui la moglie del portiere Pierino Vanacore, Giuseppa De Luca, descrive “l’uomo col fagotto”: misteriosa figura vista quel pomeriggio uscire dal portone di via Poma con un fagotto forse di abiti tra le mai. Non è stata mai identificata ma ha segnato la storia del delitto. Tra tutte le descrizioni date non ce ne sono due che combaciano. Ma ci sarebbe anche il rinvenimento della agendina Lavazza che Vanacore avrebbe dimenticato nell’appartamento in cui fu stata ritrovata Simonetta e di cui non c’è più traccia. Tale agendina, con tanto di rubrica telefonica, venne poi per errore restituita ai genitori di Simonetta dagli inquirenti, certi che appartenesse alla ragazza, salvo poi scoprire che era di Vanacore. E poi c’è quel mistero che non è mai stato chiarito nel pomeriggio del 7 agosto di Pietrino. Vanacore ha un buco immenso nel suo alibi. Dopo 34 anni ancora non sappiamo cosa abbia fatto tra le 17,10, quando l’architetto Cesare Valle (che abitava anche lui nel palazzo di via Poma) gli portò il dolce in portineria, e le 18, quando è andato in ferramenta dove è stato effettivamente visto. Certamente non ha ammazzato Simonetta, ma possibile che piuttosto che dirci cosa ha fatto in quei 50 minuti, abbia preferito suicidarsi?