Cultura

Un viaggiatore sovrappeso in Iran – Il curioso, sincopato e autoironico diario di un flaneur appassionato

Dopo aver letto il libro di Bernardo Notarangelo non riusciamo più a leggere o ascoltare servizi giornalistici sull’Iran senza pensare ai dettagli minuti, all’esplorazione sincera di questo viaggiatore

E se un diario di viaggio superasse il racconto quotidiano della realtà? Dopo aver letto Un viaggiatore sovrappeso in Iran (Zolfo) di Bernardo Notarangelo non riusciamo più a leggere o ascoltare servizi giornalistici sull’Iran senza pensare ai dettagli minuti, all’esplorazione sincera di questo peregrinare dell’autore da flaneur benjaminiano tra Isfahan, Tabriz, Teheran, Mashhad. Intanto la cifra di questo diario, articolata nel giorno per giorno per circa un mese e mezzo, è modulata su una curiosa, sincopata, soggiacente (auto)ironia che ha come puntello la trovata di una presunta obesità dell’autore da smaltire viaggiando, qualcosina in più di una naturale abbondante pancetta dovuta all’età – l’autore all’epoca del viaggio aveva 63 anni -, molto di meno dell’impedimento serio al macinare qualche chilometro al giorno per visitare luoghi e spazi persiani. L’ampia introduzione sulla magrezza giovanile dell’autore, tutta giocata in punta di divertissement, è il viatico necessario per entrare nell’anima – qualcuno direbbe il mood – del “viaggiatore sovrappeso”.

Un viaggiatore che si appoggia ad un corso di lingua del luogo per ottenere un visto con maggiore facilità, che gira con una manciata di euro trasformata in riyal, uno zaino e niente più, e che comunque mangia, anzi cerca proprio il ristorante più autentico (tanta troppa carne Bernardo, sempre se si vuole dimagrire) per poi farne puntuali recensioni “a la” tripadvisor. Dice Notarangelo del suo sapere: “Anche se negli anni l’interesse per queste terre mi ha portato a leggere molto, la mia rimane fondamentalmente una cultura da Settimana Enigmistica: votata al dettaglio e al tempo stesso irrimediabilmente approssimativa”. E vivaddio, aggiungiamo.

Perché se c’è qualcosa di stuzzichevole e accattivante nella diaristica di viaggio è proprio questo taglio naturalmente e soggettivamente impreciso, tutto volto a farsi e ricomporsi nel momento in cui le occasioni, gli incontri, gli squarci visivi si mostrano nella loro inattesa e improvvisa presenza. Del resto la filosofia del flaneur Notarangelo, oltre le classiche passeggiate tra bazar, moschee, giardini e ponti (segnatevi quelli di Khaju e Si-o-se Pol a Isfahan che sono davvero qualcosa di magico nonché incomprensibile per i nostri preconcetti architettonici e idraulici) è l’indeterminatezza di meta e svolgimento.

C’è un disegno a grandi linee dei desideri sulla lista da depennare, ma ogni giorno, letteralmente, Notarangelo decide il da farsi. In questo modo la visita turistica si plasma continuamente attorno all’idea di un luogo da abitare, anche se fugacemente, per respirarne umori e sentimenti oltre la visione totocutugnesca dell’italiano all’estero. I caffè diventano così cornucopia antropologica spicciola della direzione che un paese prende ben oltre i panegirici dei cosiddetti esperti occidentali in loco. L’autore osserva, incontra, cataloga, riflette. Il tema del velo sul viso delle donne (sorpresa: molte lo tengono sulle spalle), l’idea latente della polizia oppressiva, l’arrembante presenza dei nuovi ricchi cinesi (e della tradizione artigianale dei tappeti che rischia di perdersi), la fuga dei giovani laureati verso l’estero. E poi quell’umanità diversificata nelle etnie (l’Iran respira il turco armeno curdo ad ovest e l’afgano ad est) che si riassume nell’antica idea di ospitalità concreta e reale (“mai confondere il popolo con il governo”) che nessun viaggio in Occidente offre più da tempo. Notarangelo va avanti a piccoli e grandi passi, si appoggia a taxi e corriere, si immerge nell’altopiano desertico, esplora perfino incongruenze storiche, qui rispetto alla leggenda delle spoglie dei Re Magi, mostrando che il diario di viaggio nella sua culturale semplicità è anche motivo di interrogativi ed analisi, di stimolo verso alterità e conoscenza ancora da mettere definitivamente in ordine. Insomma, se pensate che Un viaggiatore sovrappeso in Iran sia un libro “sgamuffo” vi sbagliate. Al suo interno c’è tutta la sincera passione di quelle persone che tra i grigi inverni europei anelano l’intramontabile sole del viaggio lontano per illuminare anima e cuore. Alla fine di ogni capitolo la liana dell’interattività attraverso un QrCode vi mostra le foto del viaggio, anche se il consiglio è lasciare che la vostra fantasia ricomponga autonomamente ambienti, visi e colori, proprio come una volta. E il peso da perdere? A pagina 330 la risposta.