Si è nascosto dalla sicurezza tedesca sotto la dittatura siriana. E sfruttando il passato nel Terzo Reich ha ideato le tecniche di tortura di Damasco
Bussano alla porta. Il generale Abdel Hamid al Sarraj è seduto alla sua scrivania damascata nel suo ufficio al ministero degli Interni. L’uomo entra, si ferma davanti a lui. Lo accompagna una persona che conosce, Franz Rademacher. Ma chi è l’altro uomo? È Alois Brunner, appena arrivato dal Cairo dopo essere fuggito dalla Germania. Sarraj, […]
Bussano alla porta. Il generale Abdel Hamid al Sarraj è seduto alla sua scrivania damascata nel suo ufficio al ministero degli Interni. L’uomo entra, si ferma davanti a lui. Lo accompagna una persona che conosce, Franz Rademacher. Ma chi è l’altro uomo? È Alois Brunner, appena arrivato dal Cairo dopo essere fuggito dalla Germania. Sarraj, che guida il Deuxieme Bureau, il servizio segreto siriano – in arabo maktab al thani – della Repubblica Araba Unita (allora formata da Siria ed Egitto), sa che davanti a lui non ci sono due persone normali.
Rademacher, arrivato in Siria nel 1952 grazie all’aiuto di una rete di nazisti, era stato un diplomatico del Terzo Reich che aveva proposto il “piano Madagascar”, cioè di deportare in quell’isola africana tutti gli ebrei. Ma è il secondo uomo che interessa a Sarraj, ne ha sentito parlare da Rademacher e da un altro paio di nazisti che a Damasco hanno trovato casa. Brunner fino al 1953 aveva lavorato in una miniera di carbone, prima di fuggire in Egitto, dal presidente Gamal Abdel Nasser, perché ricercato. Era stato il responsabile della deportazione di oltre 100mila ebrei e in Francia aveva diretto il campo di concentramento di Drancy. Con il caos del dopo guerra riesce a confondersi: su di lui c’è una condanna a morte. Un suo omonimo viene arrestato: “Non sono io il nazista, non so nulla”, dirà senza mai essere creduto. Il corpo del falso Brunner rimane appeso al cappio, mentre il vero nazista riesce a nascondersi e a viaggiare con un passaporto intestato a un certo Georg Fischer.
Quel giorno, in Siria, lontani dalle macerie dell’Europa, l’incontro fra Brunner e Sarraj finisce con un accordo del quale non si conoscono i termini. Si dice che il primo incarico dato al nazista fu quello di addestrare i cani usati dalle forze di sicurezza del Paese. Il dato sicuro, però, è che da allora Brunner verrà protetto dalle autorità siriane. E che Sarraj, prima a capo dei servizi di sicurezza e poi nominato da Nasser come ministro dell’Interno fra il ’58 e il ’61, verrà ricordato come l’iniziatore dei metodi di tortura e le uccisioni in carcere.
Nel 1959, mentre Brunner lavora (anche) per l’amico Rademarcher nella sua società, l’Orient Trading Company a Damasco, Sarraj dà il via alla caccia a tutti i partiti d’opposizione e, in particolare, ai comunisti. Farajallah al Helou, uno dei leader del partito comunista siriano-libanese, spicca al primo posto nella lista dei nemici della RAU, la Repubblica Araba Unita, di cui Nasser è presidente e Sarraj è ministro dell’Interno. Sarà proprio da quest’ultimo che arriverà l’ordine di uccidere Helou. Il cadavere verrà prima sepolto dagli uomini della sicurezza e poi, su ordine di Sarraj, sciolto nell’acido.
La brutalità del ministro dell’Interno coinciderà con un momento difficile per Brunner che stravolgerà gli eventi fra il 1960 e il 1961. Squilla il telefono nella sua abitazione a Damasco, nel quartiere del Muhajireen. Dall’altro lato della cornetta una voce dice: “Adolf Eichmann è stato preso in Argentina e trasportato a Gerusalemme”. Brunner sta in silenzio: “Non mi avranno”. È un duro colpo per il braccio destro del gerarca che verrà portato alla sbarra e di cui Hannah Arendt racconterà il processo. In più, il suo passaporto è scaduto e non può rinnovarlo altrimenti i servizi tedeschi delle due Germanie lo potrebbero individuare. Ancora una volta, Sarraj verrà in aiuto del suo consigliere dandogli la cittadinanza e il passaporto della RAU.
Ma gli israeliani sono sulle sue tracce. Sanno che vive in via George Haddad al numero 7. La guardia intorno a Georg Fischer viene aumentata. Sanno che ogni mattina alle 6 passeggia ai giardini Zenobia e che dopo aver finito di camminare dà da mangiare ai conigli sul suo terrazzo. Forse è per lui, per catturalo, che verrà mandato in Siria Eli Cohen, che userà lo pseudonimo Kamel Amin Thabet. La spia del Mossad riuscirà a inserirsi in tutti gli ambienti altolocati siriani, fino alla presidenza di Amin Al Hafiz, il neo primo ministro che alla dissoluzione della Rau, con un colpo di Stato porta al potere il partito Ba’ath.
Fra gli obbiettivi di Cohen c’è Rademarcher al quale spedisce una bomba nel 1962. Sopravvissuto all’attentato, verrà arrestato dalle autorità siriane nel 1963 perché accusato di spionaggio per conto della Germania dell’Est. Ma è tutto inventato: sono gli israeliani ad aver fabbricato le prove per metterlo fuori gioco e costringere le autorità siriane a disfarsene. L’ex nazista passerà due anni in carcere ma, a causa delle sue condizioni di salute, verrà poi liberato e, a bordo di un aereo, si riconsegnerà alla Germania.
Forse ora si sente solo, Alois, c’è bisogno di un protettore. Questo nonostante la morte di Eli Cohen che, una volta scoperto, verrà impiccato. Il cadavere verrà lasciato esposto in piazza. È uno smacco per la dittatura siriana. Fino a dove si era spinto Cohen? Che cosa era riuscito a sapere? Il corpo verrà fatto sparire. Ma lo scandalo rimane. E forse questa vicenda, insieme alla guerra, persa nel 1967, spingerà il Paese verso un cambio di rotta. All’interno del partito Ba’ath ci sono nuovi uomini forti: uomini del destino. Come Hafiz al Assad.
Come una storia che si ripete, cambiano solo gli uomini forti. Non Brunner. Al Assad lo guarda come una risorsa importante, utile. “Che servizi puoi offrire?”. Fischer sa cosa serve per imporre nel Paese il pugno di ferro. “Ci sono stati troppi colpi di Stato, bisogna creare stabilità con il controllo”, potrebbe avergli detto Assad. È il 1966 e il nazista ha la soluzione.
Pochi anni dopo, in un palazzo a Wadi al Barada, a Damasco, Brunner incontra il suo protettore, Hafez al Assad, che ha un debole per l’efficienza di quel nazista. Quando nel 1970 prende il potere con un colpo di Stato, gettando in carcere a vita alcuni dei suoi compagni di partito, sarà a Brunner che chiederà consiglio per riformare il sistema di sicurezza siriano. In sostituzione del maktab al thani, una volta guidato da Sarraj, viene messo in piedi un complesso sistema di controllo. Quattro servizi segreti principali.
Ognuno di questi funzionava come una scatola cieca, non comunicante con gli altri apparati. A ogni servizio era assegnata una base centrale a Damasco e diverse sezioni regionali – ognuna con un numero identificativo – e centri di detenzione. La prima, l’Intelligence Militare (Shu’bat al-Mukhabarat al-‘Askariyya), era responsabile della sicurezza interna dell’esercito, della repressione politica e delle operazioni contro i dissidenti. A guidarla, per oltre venti anni, fu il Generale Ali Duba, fedelissimo del presidente Assad. La seconda era la Sicurezza Generale (Idarat al-Amn al-‘Aam) che si occupa della sorveglianza politica generale, della censura dei media e delle attività anti-regime in patria e all’estero. Originariamente creata per monitorare l’aviazione militare, la Sicurezza dell’Aviazione (Mukhabarat al-Jawiyya) si è trasformata in una delle agenzie più temute, diventando celebre per la gestione brutale dei prigionieri e dei centri di tortura, come quello di Harasta. Al comando, anche lui per oltre due decenni, fu un altro fedelissimo di Hafez al Assad, il Generale Muhammad al-Khuli. Concentrata sulle attività politiche interne era, invece, la Sicurezza Politica (Amn al-Siyasi). Gestiva il monitoraggio dei partiti, sindacati e movimenti sociali. Fra le carceri supervisionate c’era anche il ramo palestinese (Far’ Filastin) della prigione del Mezzeh dove, in accordo con le autorità palestinesi, venivano incarcerati e torturati dissidenti interni.
Questi quattro apparati, secondo quanto ricostruito, si coordinavano fra di loro, sebbene alcune competenze si sovrapponessero, e ognuna di esse aveva il compito di sorvegliare le altre. Quanto questo sistema fosse costruito ricalcando quello tedesco è difficile da dirsi. Quello che sappiamo è che Brunner aveva addestrato “Ali Haidar, Ali Duba, Mustapha Tlass, Shafiqq Fayadh”, raccontarono le guardie del corpo siriane a due giornalisti di Revue XXI che qualche hanno fa pubblicò un’inchiesta sul nazista di Damasco. Testimonianza viva e certa di quanto Brunner abbia influenzato i metodi di tortura e l’uso della sedia tedesca – al kursi al almani -, un trattamento barbaro per le sedute di interrogatorio. “Guardate”, avrà spiegato il nazista in un anonimo palazzo di Damasco. Duba e Haidar si guardano non capendo che cosa è quella strana sedia. Ci sono cinghie metalliche che permettono di legare la vittima. Così, spiega Brunner, “basta tirare e il dorso si piega, fino a spezzarsi”. Ricordate, potrebbe aver detto, “il compito principale rimane quello di documentare ed eseguire. Costantemente”. E quanto questo ordine sia diventato il centro dell’operato dei servizi lo testimonia la valanga di dossier accumulati.
Fra il 1979 e il 1982 c’è una guerra civile che imperversa nel Paese fra l’ala militare dei Fratelli Musulmani e il regime di Hafez al Assad. Gli arresti aumentano, per questo c’è bisogno di strutture grandi e ampie come il famigerato carcere di Sednaya. Nel 1982, in particolare, saranno le compagnie di difesa – corpi speciali – fedeli a Rifaat al Assad, fratello del presidente Assad, a bombardare Hama e sedare una rivolta nel sangue all’interno del carcere di Palmira. Secondo Norbert Sakowski, capo redattore della rivista tedesca Bunte, Brunner fu consigliere per la Sicurezza di Rifaat al Assad almeno fino al 1980, venendo poi destinato ad altro incarico perché considerato troppo “bollente” per via di un’altra lettera bomba. A rimanere fedeli a Hafez al Assad, evitando il colpo di mano del fratello, saranno Ali Duba, in particolare, e Mustafa Tlass, per lungo tempo ministro della Difesa. Loro ristabilirono l’ordine in Siria, mentre il Paese si ritrovò impegnato nel conflitto civile in Libano che, nel 1982, anno del massacro ad Hama, vedrà compiersi l’eccidio dei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila. E sarà sempre Ali Duba, addestrato da Brunner, a gestire la sicurezza interna perché a capo del servizio segreto militare che amministrerà la macchina della repressione nel carcere di Sednaya e in quello del Mezzeh. Con i disordini degli Anni 80 ci si accorge che servono più prigioni. Il carcere di Sednaya, attorno a cui, l’8 dicembre 2024, migliaia di persone si erano radunate in cerca dei propri cari, sarà il primo buco nero del regime. Un luogo misterioso, avvolto da una aura oscura come i lager nazisti.
È il 1984, l’ambasciatore statunitense a Damasco, William Eagleton, scrive al segretario di Stato George Shultz per informarlo che Brunner si trova effettivamente in Siria, dove addestra i guerriglieri curdi contro la Turchia. Solo qualche anno prima, con un decreto dello Stato, vengono espropriati fra il 1980 e il 1981 alcuni terreni non lontani dal santuario di Sednaya. A interessare al governo è un piccolo promontorio, facile da controllare. L’architetto, di cui non si conosce l’identità, si ispira a un design brutale e utilitaristico, caratterizzato da un’enfasi sulla sorveglianza e sulla separazione degli spazi per isolare i prigionieri. Questo approccio architettonico è tipico di molti edifici costruiti in Siria negli Anni 70 e 80 sotto l’influenza sovietica. Gli interni sono opprimenti, con spazi chiusi, corridoi stretti e poca luce naturale. Un design concepito per amplificare il senso di isolamento e paura tra i prigionieri. Le pareti sembrano progettate in modo tale da amplificare i suoni delle torture e delle esecuzioni, una caratteristica che suggerisce la ricerca del terrore psicologico. Poi c’è l’ordine, quasi fosse un nuovo campo di concentramento. Chissà se c’entra Brunner? Nell’edificio bianco, a L, vengono rinchiusi i militari infedeli. In quello rosso tutti gli altri prigionieri. È un inferno che, preciso come un orologio, a mezzogiorno di ogni giorno – racconta una guardia -, sputa l’elenco dei condannati a morte. Sono tutti cadaveri che servono, sono il banco di prova su cui si poggia il sistema di repressione siriano. È la soluzione finale.
Nel 2013 verrà aperta al suo interno la “stanza del sale” dove conservare i corpi, appunto sotto sale, prima di farli sparire. Ebrei o siriani? Sono uguali per il nazista. Un anno dopo l’apertura di Sednaya, nel 1987, dei giornalisti del Chicago Sun-Times riescono a chiedere a Brunner se aveva rimorsi per quello che aveva fatto. “Tutti quegli ebrei meritavano di morire. Non ho alcun rimorso, lo rifarei ancora”.
Sednaya, il Mezzeh e Palmira diventano i mattatoi del regime: si entra per non uscire. I cadaveri vengono catalogati. Quaranta anni dopo, nel 2014, 55mila foto scattate da un fotografo disertore dei servizi segreti siriani saranno presentate come prova della repressione di Bashar al Assad, cominciata nel 2011. Cadaveri a terra. Il numero, diventato il loro nome, non è più tatuato sul braccio, come facevano i nazisti, ma scritto sulla testa con un pennarello.
Troppe analogie perché lo spettro di quell’uomo, Brunner, non sia richiamato in vita. Ma è forse vivo? “L’avevano messo in una stanza nel sottoscala. Si entrava da una porta sul retro, accanto a un negozio di fiori. Dopo averlo messo lì dentro, chiusero la porta senza mai più riaprirla. Non è mai uscito da quella stanza. L’hanno trattato malissimo, questo è certo. Urlava, insultava i soldati. Gli davano pochi medicinali, solo delle aspirine. Non è mai uscito da lì”, racconta Abu Yaman, ex guardia del corpo del nazista, raggiunto da Revue XXI. Forse perché non più funzionale al regime, ma comunque una carta da poter tirare fuori dal mazzo all’occorrenza. È il 1991. “A volte urlava, altre volte rideva forte, aveva degli attacchi di ridarella e sbatteva la testa contro il muro. Poteva durare giorni, a volte intere settimane, poi tornava normale”.
Ci vorranno dieci anni perché il nazista di Damasco, ormai prigioniero del sistema che ha creato, trovi la morte. In una notte, nel 2001, il corpo viene trasportato al cimitero di al Afif, ricostruisce il magazine francese. Il corpo deve sparire in una tomba anonima. Lui, Brunner, non è mai esistito. Né per Hafez al Assad, né per il figlio, Bashar. Come il sistema di repressione che ha fatto della privazione dell’identità e dell’anonimato l’unica arma. Ora che Sednaya è aperta, quaranta anni dopo, il sistema della scatole cieche è finito. La luce entra. Ma non nel sottoscala, ormai dimenticato da tutti, dove un nazista mai pentito ha trovato la morte. A Damasco.