Quante volte, accedendo ad un sito o ad un servizio online, vi sarà capitato di dover passare le forche caudine che impongono di dimostrare di essere un utente in carne ed ossa e non un sistema robotizzato? Sono i meccanismi di riconoscimento degli “umani” che funzionano poco in Rete e che nel mondo reale sono palesemente additati come inefficaci e inattendibili.
Il problema non è solo tecnologico. In gioco c’è la nostra sensibilità, quella che ciascuno vede calpestata ogni giorno ovunque si vada a volgere lo sguardo. Il nostro cuore è probabilmente più severo del cosiddetto “CAPTCHA” (Completely Automated Public Turing-test-to-tell Computers and Humans Apart la versione discorsiva dell’acronimo) che da anni riconosce se a far richieste o ad operare è un utente o un sistema automatico.
I server di mezzo mondo si accontentano di aprire le porte a chi riconosce semafori, biciclette o attraversamenti pedonali, oppure a chi riesce a digitare in maniera corretta una frase proposta sullo schermo in modo da ingannare un eventuale computer ma non la vista dell’occhio.
La nostra coscienza, invece, non si affida ad algoritmi che si fanno facilmente beffare dal furbo di turno e sa bene quali siano le qualità “umane”, quelle che ci distinguono da altri bipedi e dalla fauna più feroce. Il nostro animo non riesce ad attribuirle a chi non esita a bombardare, trucidare, seminare morte e distruzione.
Putin, Netanyahu o quelli che dalle nostre parti lasciano morire i disperati a poche miglia di distanza dalle italiche coste patriotticamente difese possono fregare il sito X o quello Y. Possono cliccare serenamente su quel “non sono un robot” nella consapevolezza di non essere così tanto differenti da una macchina spietata e senza cuore.
Non ci sono dinamiche di sicurezza elettronica nelle nostre relazioni interpersonali e quindi sta a noi (prima che si diventi schiavi di una intelligenza artificiale gestita da chi vuol governare la nostra vita) applicare i “filtri” che impediscano l’accesso a chi di “umano” ha davvero nulla.
L’enciclopedia Treccani pone solo al quarto posto il significato di “umanità” come “il complesso di tutti gli uomini viventi sulla terra”. Le precedenti definizioni hanno ben altra caratura. Quel termine infatti è indicato come “Sentimento di solidarietà umana, di comprensione e di indulgenza verso gli altri uomini” ed è emblematico l’esempio che ricorda “trattare con umanità i propri dipendenti, i prigionieri, gli avversari vinti”.
Il CAPTCHA non tiene conto di dizionari e vocabolari e non si sofferma certo su “sfumature” di senso e di espressione. Ma noi non siamo una manciata di codici informatici e quindi dobbiamo procedere con cautela pesando quel che diciamo o sentiamo dire.
Questi ragionamenti non sono “stagionali” e ancor meno condizionabili dall’atmosfera festosa di questi giorni. Ci dovremmo riflettere quotidianamente e – solo se la nostra aridità ce lo impedisce – approfittare di luci e colori del periodo che stiamo vivendo.
E’ vero, a Natale dobbiamo essere più buoni. Cerchiamo di esserlo con chi muore di freddo per strada, con chi mendica divorato dalla vergogna di tendere la mano, con chi piange senza nemmeno aver più le lacrime per farlo, con chi ha perso tutto e forse pure qualcosa di più, con chi si è visto strappare di mano il futuro e persino il semplice diritto ad averne uno.
Si approfitti delle Feste per individuare nuovi eroi, dalla bambina di 11 anni rimasta tre giorni aggrappata ad una camera d’aria tra le onde del Mediterraneo alla coraggiosa donna francese che ha denunciato il marito che per dieci anni l’ha fatta stuprare da 50 individui arruolati online. Chi in questi giorni si aspettava un illustre martire giudiziario, non si disperi. Il tribunale ne ha consacrati ben 147 sconosciuti, quelli lasciati in mare prima e abbandonati dalla giustizia poi.
Immaginiamo come un gigantesco presepe i territori del Medio Oriente e dell’Ucraina e quelli invisibili ma non meno martoriati del centro Africa. Se non si ha la vista così lunga ci si accontenti di ambientare la Sacra Famiglia a ridosso dei cancelli di una fabbrica che non riaprirà i battenti…
Si provi ad essere davvero aderenti a quel “non sono un robot” e si resti in silenzio ad ascoltare il proprio cuore. Non si cerchi il proprio battito ma si faccia di tutto per sentire quello degli altri, per capire se le palpitazioni accelerate sono solo per la gioia.
Si tenti a metter da parte l’indifferenza e il distacco e, poco importa quale sia il Dio che preghiamo, domandiamo al cielo di darci la forza per aiutare chi ha bisogno di noi. Essere umani è il mestiere più difficile e forse potrebbe persino sbloccare il mondo del lavoro, dove il profitto di pochi ha schiacciato la sopravvivenza di tante famiglie che in queste ore vorrebbero aprire un pacco senza fiocchi e lustrini e ritrovare in una lettera il regalo della dignità restituita.
Ci si guardi negli occhi e ci si chieda se si è fatto abbastanza o almeno qualcosa per capire che non ci serve un “buon Natale”, ma un Natale buono. Per tutti.