La più importante notizia di fine anno in ambito automotive è senza dubbio l’annuncio della fusione tra Honda e Nissan. Sono diverse le ragioni di una scelta del genere: affrontare insieme le sfide di elettrificazione e digitalizzazione (leggi anche Intelligenza Artificiale), unificare le piattaforme costruttive, razionalizzare i processi produttivi, le fabbriche e le operazioni di Ricerca e Sviluppo. Migliorare nondimeno anche le economie di scala e l’efficienza generale.
Basta questo per giustificare un matrimonio tra quelle che un tempo, come l’ex ad Nissan dal dente avvelenato Carlos Ghosn ha ricordato, erano concorrenti agguerrite? In realtà, la ragione principale si chiama Cina: lì, le due “promesse spose” stanno entrambe faticando non poco, con quote di mercato che si assottigliano. Soprattutto per l’emergere di colossi come Byd, che puntano dritti alla mobilità elettrica (o comunque elettrificata), molto in voga da quelle parti. Al punto che le previsioni indicano un sorpasso delle vendite di auto EV su quelle con motorizzazioni tradizionali nel 2025.
Dunque, i costruttori giapponesi stanno perdendo lo smalto. Come pure quella posizione di preminenza di cui hanno goduto fino a pochi anni fa, accompagnata dalla fama di marchi di qualità. Il problema, tuttavia, è che continuano ad avere fabbriche in Cina, ideate e realizzate per soddisfare le necessità (passate, a questo punto) del mercato più grande del mondo. Il grande output produttivo, viste le condizioni attuali, rappresenta quindi un problema: l’erosione progressiva delle loro fette di mercato non giustifica più una produzione così massiccia.
Come ricorda Bloomberg, già in estate Honda ha fatto sapere che chiuderà alcuni stabilimenti, tagliando il 20% della propria capacità produttiva. Mentre è al lavoro con i suoi partner locali per operare altri tagli. Nissan, dal canto suo, nell’ultimo anno fiscale che si è concluso a marzo ha prodotto circa 780 mila vetture e veicoli commerciali in Cina, ovvero la metà rispetto alle sue annate migliori. E nel suo piano mondiale di riduzione dei costi, al Paese del Dragone toccherà il ridimensionamento più consistente: 1 milione di veicoli.
C’è da dire, ad onor del vero, che non sono solo i marchi giapponesi a soffrire in Cina. Anche gli americani di General Motors e i tedeschi dei gruppi Volkswagen, Bmw e Mercedes hanno i loro problemi a quelle latitudini, spiazzati dalla crescita di player locali (ormai divenuti globali) e dalle nuove tendenze di mercato. Difficile, nondimeno, che aziende del genere procedano a un “consolidamento” come quello tra Honda e Nissan. Una scelta non troppo stupefacente visto che in Giappone anche Toyota ha già costituito un altro polo, facendo entrare nella propria orbita costruttori come Mazda, Suzuki e Subaru. Una cosa, però, è certa: in Cina gli stranieri non guadagneranno più come un tempo. Almeno per ora.