Ci mancava, per chiudere in bellezza, ‘Quer pasticciaccio brutto de Tony Effe’. Un grande spettacolo, anche solo relativamente al gergo post-digitale: il ‘rapper’ dell’ultimo tormentone estivo ‘Sesso e samba’ è troppo ‘cringe’ per essere accettato dalla sinistra ‘woke’ e il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ora lo sostituisce, per il concerto di fine anno al Circo Massimo, con alcuni gruppi ‘boomer’ e un mix di cantanti di varia estrazione.

Un incidente oltremodo imbarazzante, dicono in molti, perché lo stesso Tony Effe salirà presto sul palco del Festival di Sanremo, e ne ha subito approfittato per organizzare un altro suo concerto ‘sold out’. Ed era ancora caldo un altro episodio di ‘cringe-crash’ culturale pubblico romano, con l’invito contestato anche a uno scrittore accusato di violenze sessuali per la festa del libro.

Tutto alimenta il classico gran bla-bla, soprattutto a proposito di una sinistra italiana che sembra essersi avvitata su se stessa con gli eccessi del politicamente corretto. Nel frattempo s’è aperto il Giubileo e il sindaco Gualtieri si è finalmente guadagnato un sacco di elogi per l’efficienza: e meno male che qualcosa funziona, in ballo ci sarebbero – compresi fondi Pnrr – oltre 7 miliardi di euro d’investimenti pubblici! Così il primo cittadino della capitale, già storico universitario e dell’istituto Gramsci, poi europarlamentare e ministro con responsabilità economiche, finisce di fatto per incarnare il vero orizzonte unico in cui si è impantanata la sinistra, dalla cultura post-comunista all’ideologia dominante post-capitalista.

In fondo, come a specchio del finale di partita della giunta Sala a Milano, con l’invocazione di un provvedimento spugna per gli illeciti del sistema edilizio, il problema di fondo della sinistra al governo è la perdita d’identità con l’assimilazione all’economicismo divora-tutto. Con un carico di moralismo pseudo-efficientista a confronto del quale persino l’assolutismo ‘woke’ è una barzelletta, si faticano ormai a intravedere quelle che un tempo erano le diverse prospettive politiche e culturali prima di tutto delle grandi città governate dalla sinistra.

Giuliano Santoro su il manifesto ha scritto che lo stesso caso Tony Effe dimostra l’abdicazione ormai consumata della politica culturale, con i decisori pubblici che delegano di fatto le scelte più importanti anche in questo settore alle multinazionali e ai poteri economici, piuttosto che al puro e semplice ‘mainstream’ dell’industria culturale. Tony Effe, per chi non lo sapesse, è un prodotto di punta in Italia dell’Universal Music Group, colosso mondiale del settore, e quel suo genere ‘cringe’ non è certo ‘scorretto’ come scelta di marketing, altrimenti non sarebbe stato nemmeno possibile portarlo in gara al festival di Sanremo.

Un esempio altrettanto clamoroso lo si è visto nell’esercizio del potere residuale dei due sindaci delle grandi città sulle nomine pubbliche nella cultura e nello spettacolo, dopo l’assalto ‘amichettistico’ spacciato per contro-egemonia dalla destra assurta alla guida del Paese. Che cosa hanno prodotto le lunghe trattative con il ministero e qualche strappo con la chiamata alle armi della piazza (è successo per il Teatro di Roma e a Milano con la manifestazione davanti al Piccolo per la nomina di Geronimo La Russa)? Quasi ovunque il risultato è stato, in perfetto stile Rai, quello di una parziale difesa delle posizioni raggiunte, dove il parziale sta per sfacciate concessioni alla destra, a partire dall’aggiustamento dei vertici con il raddoppio delle poltrone, secondo un metodo sperimentato alla tv di Stato e riprodotto anche alla Scala, al Piccolo e infine, di recente, al teatro di Roma. Un modello di doppie direzioni che viene presentato in prima battuta come il sistema per far spazio a manager di qualità, ma che spalanca le porte ad ogni futura soluzione di compromesso al ribasso, divora risorse che potrebbero essere meglio impiegate sui contenuti, e soprattutto sancisce quella svolta economicistica che ha già prodotto il disastro della sinistra.

Ma la cultura è cultura, punto, richiede una visione che non ha niente a che spartire con il marketing e con la fasulla ‘sostenibilità’ dei conti economici (non a caso è uno dei nuovi mantra dei grandi club di calcio, che sprecano fiumi di denaro come non mai). Non si può giudicare moralisticamente, come fanno le religioni e le ideologie, e nemmeno delegare ai mercanti o alle multinazionali la cultura: va cercata, seguita, accettata e poi, casomai, incanalata verso le istituzioni. Questo faceva una volta la sinistra. Cringe o boomer, woke o bokkoniani, è l’anima che conta e non i Tony Effe.

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