In questi giorni di feste natalizie, milioni d’italiani si spostano su e giù per lo stivale; si spostano, appunto, ma non viaggiano. Non viaggia chi raggiunge i parenti e non viaggia chi va in vacanza. Né gli uni né gli altri vanno con l’intenzione di scoprire, di lasciarsi trasportare dal caso fino al punto di non poter stabilire quando tornare e soprattutto se tornare.
Ma c’è chi un “Viaggio in Italia” lo ha fatto, portando in giro occhi, curiosità e immaginazione, esattamente 40 anni fa; s’intitola proprio così, Viaggio in Italia, il risultato di un’avventura fotografica nata da un’idea di Luigi Ghirri e condotta da una ventina di fotografi che lui radunò in nome di un’amicizia mista a stima e fiducia.
Forse non era stato previsto, ma questa esperienza ha segnato uno spartiacque nella storia della fotografia italiana (e non solo), tanto da decretare la nascita della “Scuola italiana di paesaggio”. Gli autori coinvolti, pur con i personali e diversi stili (tra loro Mimmo Jodice, Guido Guidi, Mario Cresci, Gabriele Basilico, Giovanni Chiaramonte, Olivo Barbieri, Vincenzo Castella e altri) hanno fatto tutti una cosa precisa: porre l’attenzione alle cose del territorio su cui nessuno, di solito, si sofferma. Non i monumenti, non i panorami mozzafiato, non le eccellenze architettoniche, non gli scorci pittoreschi, insomma: nessuna bella cartolina. Dunque una rottura con la tradizione, con gli stereotipi, con le celebrazioni, con l’estetismo consolatorio e appagante.
Piuttosto luoghi desolati, assenze, natura tristemente addomesticata, nani da giardino, nebbie, dettagli trascurati. Ma chi fotografa sa che, prima di tutto, il suo “potere” è quello d’indirizzare lo sguardo altrui: una porzione di mondo viene messa dentro quel rettangolo, mentre tutto il resto rimane fuori e, negato allo sguardo, smette di esistere. Ma quel che resta nella cornice, quell’inquadratura, ci costringe all’attenzione. Così, anche cose minime, sorvolate da tutti, talmente consuete da diventare “invisibili”, tornano di colpo e con forza ad avere una forma, una dignità, a dare segnali di vita, e di conseguenza le scopriamo per la prima volta potenti e interessanti.
Ghirri diceva, col suo amico e sodale scrittore Gianni Celati, che per loro si trattava di “Fare carezze al mondo”. Quel mondo che Ghirri aveva visto – rimanendone scioccato – in una foto dallo spazio: una palla azzurra sospesa sul velluto nero ripresa dagli astronauti dell’Apollo 11, la prima missione umana sulla Luna. Guardando quell’immagine, la identificò come la foto che contiene tutte le foto.
Quarant’anni, dicevamo, sono trascorsi da quel 1984 in cui “Viaggio in Italia” fu esposto per la prima volta a Bari, mostra storicizzata dall’omonimo libro uscito nello stesso anno per i tipi de “Il Quadrante”. Volume oggi introvabile se non a prezzi da capogiro, una vera e propria reliquia. Per fortuna, celebrando la ricorrenza, il libro è stato ora ripubblicato da Quodlibet, mantenendone le caratteristiche grafiche e la copertina. E la mostra è stata rimessa assieme in maniera integrale per essere esposta a Parigi (all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, fino all’8 gennaio, curata da Matteo Balduzzi del MuFoCo).
Nel quotidiano e nella prossimità c’è poesia, anche nel banale (che banale poi non è) e nel kitsch apparente ci può essere bellezza nascosta. Questo ci dice Luigi Ghirri, con le sue foto e quelle della “formidabile brigata” da lui arruolata. Il paradosso meraviglioso è che Ghirri, artefice di “Viaggio in Italia”, era pigro e non amava affatto viaggiare. Il suo viaggio vero lo viveva anche a due metri oltre la porta della sua casa, persa nelle campagne dell’Emilia, là dove già cominciava “Il grande fuori”. Aveva una vista lunga, Ghirri, anche se in un’intervista la figlia Ilaria lo ricorda dicendo che le lenti degli occhiali di suo padre erano sempre sporche e lui non le puliva mai. Anche questo velo perenne tra sé e la realtà dice molto di quello che, nel titolo di un brano che gli hanno dedicato i Modena City Ramblers, viene chiamato “L’uomo delle pianure”.
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