Gli Stati Uniti hanno formalizzato la richiesta di estradizione di Mohammad Abedini Najafabadi, l’imprenditore svizzero iraniano arrestato lo scorso 16 dicembre su ordine della giustizia americana all’aeroporto milanese di Malpensa. Ora la parola passa alla Corte d’Appello di Milano che dovrà valutare, in base alla documentazione arrivata dalle autorità americane, se ci sono o meno le condizioni per accogliere la richiesta di estradizione. La decisione finale, dopo il via libera della Corte d’appello, è esclusivamente del ministero della Giustizia che ha 10 giorni di tempo per rendere effettiva l’estradizione. Abedini e un altro cittadino iraniano erano stati fermati tre giorni prima dell’arresto della giornalista Cecilia Sala, i cittadini iraniani erano stati fermati in Italia e Usa e Teheran aveva presentato “formale protesta”. Si basa su questo nesso temporale – e sulla assenza di accuse nei confronti di Sala –l’ipotesi che ci sia una forma di una ritorsione di Teheran alla base della detenzione della cronista, che aveva un visto di otto giorni proprio per portare avanti il suo lavoro. Mohammad Abedini Najafabadi era stato arrestato a Malpensa con accuse di terrorismo. “Dall’analisi dei documenti in mio possesso pur essendo formalmente gravi le accuse mosse, in realtà la posizione del mio assistito risulta molto meno grave di quanto può sembrare. Lui respinge le accuse e non riesce a capire i motivi dell’arresto” dice l’avvocato Alfredo De Francesco. L’uomo, 38 anni, è sostanzialmente accusato di associazione a delinquere con finalità di terrorismo: è attualmente detenuto nel carcere di Opera, a Milano, dopo la misura cautelare emessa dalla Corte d’Appello di Milano.
Il caso – Abedini, 38enne di Teheran con cittadinanza anche svizzera, era stato bloccato dalla Digos su ordine della giustizia americana all’aeroporto milanese di Malpensa, dove era appena atterrato da Istanbul. La Corte d’appello, dopo la convalida della misura, dovrà decidere sulla sua estradizione negli Usa. Gli Stati Uniti avevano 45 giorni dall’arresto provvisorio ai fini estradizionali per inviare la documentazione a supporto della richiesta. Una volta ricevuta la documentazione, la Corte fisserà l’udienza. Nel frattempo gli investigatori milanesi stanno analizzando quanto gli è stato trovato nei bagagli nello scalo milanese: componentistica elettronica per droni compatibile con i reati contestati dalla Corte di giustizia statunitense, materiale cartaceo, bancario e commerciale, tre device telefonici e informatici. Se si tratta di materiale illegale sarà l’Autorità giudiziaria milanese ad occuparsene.
Tajani –“C’è un detenuto svizzero-iraniano, che è stato arrestato a Malpensa, prima di Cecilia Sala, perché c’era un mandato di cattura internazionale emesso dagli Stati Uniti. Il detenuto – ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, rispondendo ai giornalisti in Senato, a margine dei lavori sulla manovra, sul caso di Cecilia Sala – è trattato con tutte le regole di garanzie, ha ricevuto la visita consolare, il suo avvocato ha avuto possibilità di conoscere i capi di imputazione ma sono capi di imputazione che vengono da un mandato di cattura internazionale. Non è una scelta italiana, è stato arrestato in Italia perché c’è un mandato di cattura internazionale ma l’Italia non è competente per il procedimento penale. Poi si vedrà per l’estradizione, sarà la magistratura a decidere nei giusti tempi. Per il momento è trattenuto in carcere con tutte le garanzie”.
L’inchiesta – Intanto la Procura di Milano ha aperto un fascicolo a modello 45, ossia senza indagati e senza titolo di reato, sulle modalità con cui è avvenuto l’arresto come confermano all’Ansa fonti qualificate. L’indagine è semplicemente conoscitiva e potrebbe riguardare anche i tempi stretti tra la emissione del mandato di arresto ai fini di estradizione, datato 13 dicembre, e il fermo dell’uomo avvenuto nel giro di meno di tre giorni.
Il secondo arrestato – L’altro uomo al centro di questa vicenda, Mahdi Mohammad Sadeghi, è invece cittadino statunitense-iraniano. Ha 42 anni ed è stato invece fermato negli Usa. Entrambi sono accusati dai procuratori della Corte federale di Boston di cospirazione per esportare componenti elettronici dagli Stati Uniti all’Iran in violazione delle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni. Abedini è accusato anche di aver fornito il supporto materiale al Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, considerate dagli Usa un’organizzazione terroristica, che ha poi portato alla morte di tre militari statunitensi, uccisi da un attacco con un drone su una base in Giordania.
Il 22 dicembre il ministero degli Esteri di Teheran aveva convocato l’ambasciatrice svizzera in Iran (che rappresenta gli interessi americani nel Paese visto che Iran e Usa non hanno relazioni diplomatiche ufficiali), oltre che l’incaricato d’affari italiano, per protestare contro le misure. “Consideriamo sia le crudeli e unilaterali sanzioni statunitensi contro l’Iran sia questi arresti come contrari a tutte le leggi e gli standard internazionali”, è stata la protesta iraniana. Teheran ha poi negato ogni coinvolgimento nell’attacco in Giordania e respinto le accuse contro i suoi due cittadini.