“Le donne avranno una partecipazione importante” nella nuova Siria. A prometterlo è la funzionaria Aisha Al Dibs, nominata all’interno del nuovo governo siriano alla guida “dell’ufficio per gli affari della donna”.
La scelta è arrivata a 48 ore dalle dichiarazioni di un altro membro del governo di transizione siriano, guidato da Ahmed al Shaara (Jolani), che ha messo fine al regime della famiglia al Assad al potere da 54 anni. I compiti delle donne, aveva affermato Obaida Arnaut -portavoce del governo – “devono essere necessariamente compatibili con il ruolo che possono assumere”. Questo, ha poi chiarito il portavoce, in funzione della loro “natura biologica” che non le farebbe essere in grado di assumere ruoli nella difesa.
Il suo commento ha provocato una levata di scudi e reazioni di sdegno fra le attiviste ed associazioni femministe siriane. La nomina di al Dibs, attivista nel campo umanitario a Idlib, città dalla quale è partita la controffensiva che nel giro di dieci giorni ha messo fine al regime di Bashar al Assad, va letta forse come un’altra manovra di “normalizzazione” portata avanti dal neo governo siriano, formato da uomini fino a ieri considerati jihadisti.
Ma, nonostante il plauso internazionale per l’inclusione di una donna ai vertici del governo, le passate dichiarazioni della neo ministra agli affari per la donna fanno storcere il naso a molte femministe siriane. Solo l’anno scorso, durante la fiera del libro a Idlib, patrocinata da HTS, al Dibs aveva affermato “che il liberismo è un percorso sbagliato” per le donne e che “la laicità ha distrutto” i loro diritti. A ricordare questi commenti, risalenti al 2023, è il sito libanese al Modon. Opinioni personali – evidenzia il portale – che possono comunque non inficiare “il lavoro futuro”.
Sotto il post pubblicato su X che annunciava la nomina di al Dibs, molti dei commenti erano favorevoli all’elezione, sottolineando come “l’attenzione ora si focalizzerà sul suo velo e non sul suo operato”. Per altri, riporta Al Modon, l’errore sta nell’aver creato un ufficio affari della donna, in una maniera che ricorda “l’Unione generale delle donne” creata dal partito Baath. Un altro attivista scrive: “Non ho nessun problema con lei, né con il suo velo o le sue parole, ma con il concetto su cui poggia il suo ufficio, cioè che: la questione politica, legale e sociale della donna possa essere seguita da un ufficio, riducendo la questione femminile a un ‘ufficio affari’”.
Intanto da piazza Omayyade, nel centro di Damasco, diventato il punto di ritrovo della società civile siriana, in tutte le sue componenti, l’attrice Raghda Khated riflette: “Le donne siriane sono al fianco dei manifestanti nelle strade, proteggendoli e soccorrendo i feriti e venendo imprigionate”. La Siria, dice, al settimanale The Arab Weekly, è per “metà donna ed è giusto avere i nostri spazi”.
Cortei, dibattiti si susseguono fra le piazze delle principali città del paese, in un esercizio di democrazia dal basso nuovo per tutta la nazione. Ma la Siria è frammentata, così come lo è la posizione della donna nelle varie regioni del paese. Ad aggiungersi ci sono le differenze di ruolo che essa ha in basa alla confessione e alla località di appartenenza. Il futuro è da costruire, con le sue contraddizioni. Ma le donne ci sono.