In un anno di brutta televisione, di flop vergognosi, di assenza di novità, di difficoltà anche nei settori più stabili della produzione – come le fiction Rai – partiamo dal meglio che siamo riusciti a trovare sul piccolo schermo.
1. Un posto sul podio dei migliori a Fiorello non lo si può negare. Non solo per la faticata che ha fatto: settimane, mesi di levatacce per regalarci mezz’ora di divertimento alle 7 del mattino. Ma per altri due motivi. Il primo è sotto gli occhi di tutti: c’erano più battute spiritose, trovate originali, correnti di vera simpatia in quelle mezz’orette mattutine che in venti prime serate di intrattenimento di tutte le generaliste. Secondo, un po’ meno conosciuto: Fiorello non solo è un grande conduttore, performer, imitatore, è un formidabile ideatore di format, bravissimo a lavorare sul fattore tempo. Quando è costretto a concentrare il suo prodotto entro limiti temporali ristretti, tira fuori il colpo di genio. Una volta è il Karaoke, un’altra Viva radio due minuti, l’ultima è Viva Rai 2.
2. Restiamo nell’ambito del divertimento leggero. Visto che in generale c’è poco da ridere, premiamo i pochi che ci fanno ridere di gusto. E allora la Gialappa torna sul podio (questa volta non ho neanche conflitti d’interesse), perché il suo show è pieno di personaggi, situazioni, battute irresistibili; ma il De Laurentiis di Max Giusti è la fine del mondo. Quanto insulta i gialappi per il loro programma di m…, quando si vanta delle strategie ideate per ammansire un allenatore esigente come Antonio Conte, ma soprattutto quando racconta di Hitchcock, Scorsese o Coppola che sono andati incontro a un flop per non avere accettato il suo consiglio di ingaggiare Massimo Boldi come protagonista, meriterebbe non un posto in questa classifica, ma, per restare in tema, una nomination all’Oscar.
3. Io non dovrei avere molta simpatia per Enrico Ruggeri. Lui è di destra e io irriducibilmente di sinistra, lui è uno sfegatato interista e io altrettanto sfegatato milanista, invece mi piacciono le sue canzoni e quello che fa in tv. Soprattutto se non si occupa di misteri e altre panzane, ma di quello che conosce meglio, la musica. Già a cavallo tra il 2022 e il 23 ci aveva regalato sei puntate deliziose di Gli occhi del musicista dedicate ai cantautori italiani (quasi tutti di sinistra…). Ora ha da poco ricominciato con la riscoperta di cantanti rimasti fuori dal giro. Purtroppo va in onda a mezzanotte passata con un programma che sarebbe perfetto per una vera seconda serata. Arridatecela!
4. Non può entrare in classifica perché non è un programma; ma non posso dimenticare che le immagini più belle che ho visto in tv quest’anno sono state quelle della gara di ciclismo su strada delle Olimpiadi. Le strade di Parigi, quelle strette, affollate all’inverosimile della butte Montmartre, quelle sontuose tra l’Opéra e il Louvre e poi quando il vincitore arriva solo sulla spianata del Trocadero e, tagliato il traguardo, alza la sua bicicletta che nell’inquadratura quasi si sovrappone alla Tour Eiffel che fa da sfondo, allora quelle immagini entrano dritte nella storia dello sport e della televisione. Perché dobbiamo riconoscerlo: sono supponenti, mettono troppe salse, non hanno il bidet e adesso hanno anche un governo un po’ ballerino; ma certe cose come le fanno i francesi…
E ora dagli splendori olimpici passiamo alle tristezze nostrane.
1. La prima non può che essere la coppia delle interviste-confessione con tanto di pentimento, assoluzione e tentato salvataggio di capra e cavoli. Parliamo ovviamente dell’intervista del direttore del Tg1 al ministro Sangiuliano e di quella di Del Debbio a Andrea Giambruno. Due interviste sbagliate già nella scrittura televisiva. La prima mette gli interlocutori molto distanti tra loro, come per negare sul piano visivo una vicinanza ben nota nella realtà: excusatio non petita… dicevano i latini. La seconda divide costantemente lo schermo nei primi piani dei due conversanti, così che sembra che non si guardino mai in faccia. Al di là di questi aspetti formali molto importanti nel linguaggio televisivo, l’esito della messa in scena è stato un po’ ridicolo. Sangiuliano, dopo aver scardinato il palinsesto per poter chiedere scusa alla moglie, piangere e assicurarci della sua correttezza istituzionale, qualche giorno dopo si è dimesso. Giambruno e Del Debbio ci hanno ammannito una serie di lamentele sul destino cinico e baro che governa il mondo dell’informazione senza fare un nome di quei cinici e di quei bari che hanno scatenato il putiferio.
2. Un posto tra le delusioni lo riserverei a un doc in 5 puntate di Netflix, Il caso Yara-Oltre ogni ragionevole dubbio. Dopo il lavoro molto preciso e avvincente di Marco Tullio Giordana di qualche anno fa, Gianluca Neri, autore e regista della docuserie, rianalizza il celebre caso da un punto di vista non dico innocentista, ma molto scettico sulle indagini, il processo, la sentenza e soprattutto la figura della pm Letizia Ruggeri. A brillare in questo contesto negativo è invece la moglie di Bassetti Marita Comi avvolta in un’aura un po’ glamour. Ma… se le reti generaliste non brillano, anche le nuove piattaforme qualche sòla te la tirano.
3. “Io non sono Flavia Vento”, ripete Teo Mammucari abbandonando lo studio di Belve. Lo dice con greve accento romanesco che pare sia imprescindilbile in quel programma. Ma non è di accento che importa parlare, piuttosto del significato di quella frase. Perché il povero Mammucari, sulla cui infelice sceneggiata hanno detto la loro fior di sociologi, psicologi e antropologi, un merito ce l’ha. E nessuno l’ha notato. Con quella frase ha messo proprio il dito nella piaga, quella del senso di certe interviste. Per esempio: che senso ha passare mezz’ora abbondante a discutere con una signora che sostiene di essere la fidanzata di Tom Cruise e di parlare con la Madonna, all’insaputa di entrambi ovviamente, sia di Tom Cruise che della Madonna? Tutto questo sul servizio pubblico che senso ha?
Auguri a tutti!