di Marco Pozzi
Dal 20 e 22 dicembre si è svolto a Esch-sur-Alzette, in Lussemburgo, un torneo internazionale di baskin: sei squadre (tre francesi, una belga, una lussemburghese, una italiana), un centinaio di atleti, con le loro abilità e disabilità, hanno vissuto insieme fra palestra e ostello, conoscendosi, parlandosi, talvolta a parole talvolta a gesti, condividendo momenti di competizione e festa notturna.
Il venerdì i gruppi sono arrivati, chi in aereo chi in bus; il sabato si è svolto il torneo, dalle 8.30 alle 19.30, con ogni squadra chiamata a giocare cinque partite (vittoria della Piacebaskin, di Piacenza); la domenica si è tenuto il clinic tecnico, ci si è riposati, preparandosi alla partenza.
È stata un’occasione di crescita per gli atleti, che per le loro disabilità spesso non riescono a viaggiare nella quotidianità. È stata un’occasione di conoscenza fra gli allenatori, per scambi di esperienze, tattiche e intenzioni, da calibrare con attenzione sulle caratteristiche dei giocatori, ognuno vibrante fra limiti e possibilità.
Sul campo e fuori si sono misurate varie fasi di uno stesso gioco, il baskin (basket inclusivo), che in Italia è nato e si è istituzionalizzato, mentre altrove sovente è stato appena scoperto.
Lo sport è cresciuto e cambiato negli anni, e in Lussemburgo le varie tappe esistenziali si sono confrontate, come se ognuno di noi incontrasse un se stesso di vent’anni fa, e ci si trovasse a discutere, rimarcandosi a vicenda eccessiva complicazione o eccessiva ingenuità.
A cavallo tra una fase preindustriale e industriale dello stesso sport, le discussioni sono state utili per condividere piaceri e difficoltà, desideri e timori che ogni società attraversa nella sua esperienza quotidiana, ascoltando gli atleti che ci giocano, le famiglie che supportano, gli organizzatori, insieme ad arbitri, refertisti, educatori.
A differenza delle squadre storiche, con già decenni di vita alle spalle, con un’organizzazione più solida e una tradizione, in sport giovani come il baskin tutto è fresco e spontaneo, in un’adolescenza evolutiva dov’è estremamente vitale trovarsi: pensare, organizzare, studiare. Sogno e progetto sono ancora mescolati.
È una dimensione privilegiata, non incentrata – ma occorre stare sempre all’erta, ci si può convergere anche senza volerlo, senza rendersene conto! ‒ sul professionismo e sulle lotte di potere, coi vari corollari di soldi, obblighi e burocrazia.
Fa sempre piacere riflettere sul fatto che uno sport nuovo, nato in una scuola di Cremona a inizio anni Duemila, con impegno e capacità, con entusiasmo e volontariato, abbia gradualmente raggiunto una dimensione europea. E si respira qualcosa di “europeo” in tutto ciò, come dentro ci fosse un valore condiviso fra popoli e stati diversi.
D’altronde, la stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, approvata nel 2000, parla di solidarietà nel preambolo fondativo: “I popoli europei nel creare tra loro un’unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; l’Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. Essa pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell’Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. […] Il godimento di questi diritti fa sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future.”
Il Capo IV della Carta è intitolato proprio alla “Solidarietà”. E di solidarietà parla anche l’articolo 2 della nostra costituzione: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
Su fiscalità, politica estera e difesa comune in Europa non si riesce a trovare un accordo, né una vocazione comune. Un piccolo torneo prenatalizio di baskin ha invece realizzato in pieno un principio che solitamente tanto fatica a trovare diffusa realizzazione. Non solo per le partite sul campo, il baskin prende parte all’organizzazione delle collettività, come laboratorio vivo e pulsante, evoluzione di uno splendido progetto sportivo, educativo e sociale.