Ricchi e “poveri” del 2024. Molti gli avvicendamenti di posizioni nella classifica Bloomberg degli individui più facoltosi al mondo. Strepitose esplosioni di ricchezze già fantasmagoriche e gigantesche fette di immense fortune andate in fumo. Il vincitore dell’anno è, indiscutibilmente, Elon Musk che, grazie alle sue partecipazioni in Tesla e SpaceX, ha visto il suo patrimonio personale raddoppiare e raggiungere i 452 miliardi di dollari (più o meno il Pil di un paese come l’Austria, ndr). Decisivo il sostegno a Donald Trump e il ruolo, seppur piuttosto ambiguo, conquistato nella nuova amministrazione Usa: da novembre i titoli Tesla hanno guadagnato l’80%.
Al secondo posto, ma ora staccato di ben 209 miliardi di dollari, c’è il fondatore di Amazon Jeff Bezos che, comunque, nel 2024 ha osservato il suo patrimonio crescere di 66 miliardi e raggiungere i 243 miliardi. Seguono Mark Zuckerberg di Meta (Facebook, Instagram e Whatsapp) con 212 miliardi (+ 84 miliardi nel 2024) e Larry Ellison di Oracle con 190 miliardi (+ 67 miliardi nel 2024).
In quinta posizione c’è il primo imprenditore non statunitense e non legato ad internet. Si tratta di Bernard Arnault, patron del colosso del lusso Lvmh. Il 2024 per Arnault, che in passato ha occupato anche la prima posizione, è stato terribile. Il settore, del resto, ha sofferto molto. In un anno Arnault ha “perso” 30 miliardi di dollari, gliene rimangono 178. Il rivale Francois Pinault, a capo di Kering, è finito in 90esima posizione con 22 miliardi, 14 in meno dell’anno prima.
Dal sesto posto al 15esimo, ancora e solo Stati Uniti. Nell’ordine Larry Page di Alphabet (Google) con 171 miliardi, 45 in più del 2023; Sergey Brin, sempre di Alphabet, con 161 miliardi (+ 41 miliardi). Poi un altro ex numero uno della graduatoria come Bill Gates di Microsoft, con patrimonio da 161 miliardi, 20 in più del 2023. Seguono Steve Ballamer, ex amministratore delegato di Microsoft (149 miliardi) e il finanziere Warren Buffett (143 miliardi). Quindi Michael Dell (127 miliardi), Jensen Huang di Nvidia (120 miliardi) e i vari membri della famiglia Walton (Walmart) con gruzzoli tra i 110 e i 120 miliardi a testa. Alice Walton, al 15esimo posto, è anche la prima donna della graduatoria.
Il primo italiano nella top 500 è Giovanni Ferrero dell’omonimo gruppo dolciario. Si trova in 46esima posizione con 36 miliardi, dopo averne guadagnati altri 2 nel corso del 2024. Al 71esimo posto l’italo-svizzero Gianluigi Aponte, armatore di Msc con 27 miliardi di dollari in cassaforte. In 153esima posizione la famiglia Rocca (15 miliardi), in 310ma Piero Ferrari, figlio di Enzo, con 9 miliardi. Da segnalare l’exploit di Giancarlo Devasini, 346esimo uomo più ricco del mondo con 8,2 miliardi accumulati grazie al suo ruolo nel mondo delle criptovalute. 362esimo, infine, Giorgio Armani con 8 miliardi, uno in più dell’anno prima.
Tutto bellissimo, per loro. Lo sarebbe ancora di più, per noi, se i plurimiliardari pagassero tasse proporzionate alle loro immense ricchezze. In realtà, si sa, non è affatto così. Al loro servizio opera l’industria dell'”ottimizzazioni fiscale”, sistemi, quasi sempre legali, per occultare ricchezze e/o trasferirle nei paradisi fiscali. I patrimoni che compaiono in questa classifica sono composti per lo più di partecipazioni azionarie, non sono dei redditi. Pertanto non vengono sottoposti a prelievo fiscale (comunque più basso di quello dei redditi da lavoro) se non quando cedute. Tuttavia ci sono infiniti sistemi per accedere a queste somme senza la necessità di disinvestire. Tant’è che sono state proposte leggi per tassare quelli che vengono definiti “utili non realizzati”.
I redditi da lavoro di personaggi come Musk, Gates o Buffet sono irrisori, se paragonati alla ricchezza di cui dispongono. Di fatto queste persone pagano, in proporzione, meno tasse di un operaio o di un impiegato. Vediamo alcuni esempi: negli ultimi anni Warren Buffett ha pagato in tasse una cifra pari allo 0,1% della sua ricchezza (ma si è vantato pubblicamente di aver versato al fisco qualche milione di dollari). Jeff Bezos l’1%, Zuckerberg l’1,1%, Musk il 3%, Larry Page il 2,8%. È andata peggio a Bill Gates che ha versato il 10%. Un’aliquota con cui ciascuno di noi farebbe subito a cambio.