Il taglio delle tasse al ceto medio, obiettivo inseguito (e periodicamente annunciato) per almeno un anno. L’innalzamento da 85mila a 100mila euro del tetto di ricavi sotto il quale le partite Iva possono accedere alla flat tax, che a metà settembre la Lega dava per fatto. La riduzione delle imposte per chi ha figli, prospettata via veline ai giornali. E naturalmente il vecchio refrain sull’abolizione delle accise. Sono le promesse in materia fiscale che il governo Meloni non ha mantenuto. Approvata in via definitiva la legge di Bilancio per il 2025, si possono tirare le somme. Verificando quali misure, tra quelle propagandate dalla maggioranza, mancano all’appello. Sullo sfondo resta poi una macroscopica assenza: il centrodestra non intende adottare alcun intervento per rimediare alla regressività del sistema fiscale, che al momento premia più i ricchi tassandoli, in proporzione, meno del ceto medio che anche stavolta resta a bocca asciutta.
Novità e conferme fiscali – Come è noto, più di metà delle risorse stanziate dalla manovra va a finanziare l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef e un meccanismo strutturale di decontribuzione. Su questi fronti l’unica novità rispetto al 2024 è un’estensione dei vantaggi della riduzione del cuneo ai lavoratori dipendenti con stipendi lordi tra 35mila e 40mila euro, a cui fanno da contraltare come rilevato dall’Ufficio parlamentare di bilancio e dai sindacati dolorose perdite per gli occupati con redditi bassi (e una complicazione del sistema che genera effetti perversi sulle aliquote marginali). Per il resto, la principale novità è un “riordino delle detrazioni” che sforbicia (per tutti) quelle legate ai familiari a carico e riduce la detraibilità per chi ha redditi oltre i 75mila euro. L’effetto sarà un aumento delle tasse: a regime il gettito salirà di 900 milioni l’anno. La sforbiciata sarà meno pesante per chi ha figli: resta solo quello del piano attribuito a Giancarlo Giorgetti per ridurre le tasse a chi contribuisce alla natalità. Non a caso il titolare del Mef, in aula al Senato durante la breve discussione sulla legge, ha ammesso: “Un rammarico? Avrei voluto fare di più per la famiglia e per figli”.
Non c’è il regalo ai ricchi autonomi – Mancano invece i grandi cavalli di battaglia di Lega e Fratelli d’Italia. Il Carroccio, oltre a restare a mani vuote sulla “cancellazione della Fornero”, non ha recapitato il regalo promesso ad autonomi e professionisti con un buon giro d’affari. Il sottosegretario all’Economia Federico Freni aveva assicurato che l’ampliamento della platea di beneficiari del regime forfettario con aliquota al 15% (oggi 1,8 milioni) era “centrale” e le coperture sarebbero state trovate: così non è stato. Anche se il costo sarebbe stato relativamente contenuto perché, complice l’evasione, a dichiarare ricavi sopra gli 85mila euro non sono in molti. La mossa avrebbe aggravato la già evidente iniquità della flat tax, che a parità di reddito consente alle partite Iva di versare meno di un dipendente soggetto all’Irpef e dunque costa cara alle casse dello Stato. Per ora Matteo Salvini incassa solo l’aumento da 30 a 35mila euro del tetto di reddito da lavoro dipendente sotto al quale un contribuente può ottenere la flat tax sui compensi da lavoro autonomo.
Niente per il ceto medio – Fine ingloriosa, almeno per ora, anche per il chiodo fisso del viceministro dell’Economia con delega al fisco Maurizio Leo: l’intervento “a favore del ceto medio” che avrebbe dovuto sostanziarsi in una riduzione di due punti della seconda aliquota Irpef (dal 35 al 33%) magari accompagnata da un innalzamento del limite del relativo scaglione da 50mila a 60mila euro. L’esponente di Fratelli d’Italia contava, per finanziare lo sgravio che costerebbe 2,5 miliardi nella prima versione e 4 con l’intervento sullo scaglione, nel gettito del concordato preventivo biennale. Si sa com’è finita: all’accordo con l’Agenzia delle Entrate hanno aderito solo 584mila partite Iva, il 13% degli interessati dall’offerta. Ne deriveranno solo 1,6 miliardi, peraltro lordi (non si tiene conto di quanto quei contribuenti avrebbero pagato senza concordato). Morale: il ceto medio deve attendere. La maggioranza comunque persevera: Forza Italia ritiene di poter trovare le risorse con una nuova rottamazione, che piacerebbe anche alla Lega. Poco importa se i dati dicono che in realtà più si consente a chi ha pendenze col fisco di rateizzarle a condizioni di favore, più ci perdono le casse pubbliche.
Le accise che salgono e l’impegno sulle detrazioni – Sipario con una vecchia promessa che non ha trovato spazio in manovra semplicemente perché subito prima il governo aveva ufficializzato di voler fare il contrario. La premier Giorgia Meloni dall’opposizione non aveva dubbi: le accise sui carburanti dovevano essere progressivamente abolite. La realtà ha avuto la meglio: il Piano strutturale di bilancio concordato con Bruxelles prevede il graduale aumento di quelle sul gasolio per allinearle a quelle della benzina. Il tutto nell’ambito di un robusto disboscamento delle detrazioni, che dovrebbero diminuire di 7 miliardi l’anno. Un impegno che, se realizzato, potrebbe costar caro all’inquilino di Palazzi Chigi. Più di un impegno non mantenuto. Non a caso il piano fissa come deadline il 2028: se ne parla nella prossima legislatura.