di Marco Bertolini
Il primo quarto di secolo del nuovo millennio sta per finire, manca solo un altro anno. Un traguardo importante che fa nascere tutta una serie di riflessioni. Gli anni 2000 si erano aperti con grandi speranze, quasi immediatamente spente dallo sconvolgimento seguito all’attacco alle torri gemelle.
La risposta militare occidentale e in particolar modo degli Usa, ai tempi unica superpotenza rimasta dopo il crollo dell’Unione Sovietica, ha portato a conseguenze nefaste per gli equilibri mondiali, aprendo le porte a quella che in molti considerano una sorta di terza guerra mondiale. Basti pensare a quanto sta accadendo in Ucraina, in Medio Oriente, a Taiwan, con conflitti e tensioni che si sono moltiplicati esponenzialmente e che sembrano non avere sbocchi positivi nel breve periodo.
In mezzo a tutto questo caos, chi ne sta uscendo con le ossa rotte è l’Europa. In tanti avevano creduto che, grazie anche alla nascita dell’euro, avremmo finalmente potuto giocare un ruolo di primo piano sullo scenario internazionale, potendo offrire quanto di meglio il vecchio continente aveva accumulato in secoli di storia. Pagato un conto salatissimo con ben due guerre mondiali, avremmo potuto portare avanti un’idea di mondo in cui l’uso della forza e delle armi fosse da considerarsi un tabù, in cui l’idea di uno sviluppo alternativo a quello proposto unilateralmente dal turbocapitalismo americano basato sul petrolio potesse essere davvero a portata di mano, in cui il modello di welfare state con sanità e altri servizi essenziali pubblici potesse essere una solida alternativa al privato che gestisce tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana, impedendo che tanti rimangano indietro dovendo arrangiarsi e accontentarsi delle briciole.
Passati quasi 25 anni sono rimaste solo le macerie di questo “sogno”. Ci siamo ritrovati con un’Europa senza alcuna identità autonoma, succube delle decisioni che vengono prese altrove, incapace di portare avanti perfino la tanto sbandierata transizione green, che assiste impotente alla distruzione del suo tessuto industriale e che rivendica con orgoglio il passaggio ad un’economia di guerra. Paradossale ed emblematico il caso della Germania che, in piena crisi economica, sta diventando la locomotiva della nuova rincorsa al riarmo, proprio lei che con il suo passato bellicista è stata causa della più grande tragedia della storia: la seconda guerra mondiale.
Non vedo grandi motivi di speranza a breve, purtroppo. Siamo di fronte ad una delle crisi più profonde che le nostre democrazie abbiano mai affrontato. La distanza tra il popolo e le elite che lo governano è abissale, così come le politiche e gli indirizzi che quest’ultime mettono in atto e che sono sideralmente distanti dai bisogni quotidiani e da quelli che le generazioni future meriterebbero. Le masse sembrano intontite e inermi di fronte a quanto sta accadendo sotto i loro occhi e al momento non hanno né voglia né forza per chiedere a gran voce che questa triste musica cambi registro.
Staremo a vedere cosa ci riserverà il 2025 e gli anni a venire. La speranza di un mondo diverso da questo e da quello che ci stanno “regalando” non bisogna darla definitivamente per persa. Ho però come l’impressione che i padri fondatori della prima idea di Europa si stiano rivoltando nella tomba. Staremo a vedere se saremo in grado di dar loro quanto prima un po’ di pace, in tutti i sensi.