Chi non ha versato il dovuto al fisco avrà fino a 10 anni per mettersi in regola. Sempre che nel frattempo non smetta di pagare le rate, cosa che – come insegna l’esperienza di quattro tornate di rottamazioni delle cartelle – tende a succedere molto spesso, con forti perdite per l’erario. Con il 2025 va a regime la riforma della riscossione messa in campo dal governo Meloni in attuazione della delega fiscale. Lunedì è stato pubblicato il decreto ministeriale firmato dal viceministro Maurizio Leo che definisce alcuni dettagli, come previsto dal decreto legislativo 110/2024. In base al quale a regime il numero massimo di rate mensili concesse dal fisco potrà salire in via ordinaria dalle attuali 72 a 108 per i contribuenti che dichiarano di essere in difficoltà economiche, anche se non presentano alcuna pezza d’appoggio per provarlo. Chi invece può documentare di non essere in grado di pagare potrà ottenere, appunto, di farlo in un massimo di 120 rate spalmando il debito su un periodo di 10 anni. Leo parla di “cambiamento radicale” perché il fisco “tende la mano a quei cittadini che, nonostante le difficoltà, vogliono tornare ad essere in regola”.
La mini riforma non tocca i veri nodi – L’efficacia è tutta da vedere, visto la riforma non tocca le cause dell’estrema inefficienza del sistema italiano della riscossione: non dà nuovi strumenti e poteri all’Agenzia delle Entrate Riscossione (se si eccettua l’ampliamento degli accertamenti esecutivi) né aumenta la sua dotazione di personale. La semplificazione delle procedure di pignoramento dei conti correnti, seppure prevista dalla legge di Bilancio per il 2024, non è mai stata attuata. I tentativi di recupero dei crediti non saranno subordinati a un’analisi del rischio di non pagamento, contrariamente a quanto previsto nella delega stessa che aveva tra i principi direttivi “l’incremento dell’utilizzo delle più evolute tecnologie e delle forme di integrazione e interoperabilità dei sistemi e del patrimonio informativo funzionali alle attività della riscossione”. Il decreto attuativo, convertito in legge lo scorso agosto, si limita a prevedere per il futuro il discarico automatico dei debiti non riscossi e che non sono oggetto di azioni esecutive o rateizzazioni cinque anni dopo il loro affidamento. Insieme, appunto, a rateizzazioni molto estese per contribuenti che “dichiarano”, anche senza provarlo, di trovarsi in condizioni di difficoltà.
Come funzionano oggi le rateazioni – Prima della riforma il numero massimo di rate, sulla base del dpr 602/1973 modificato dal decreto Aiuti del 2022, si fermava a 72 in caso di debiti fino a 120mila euro e situazione di difficoltà solo “dichiarata“. Superata quella soglia, il beneficio della rateizzazione era soggetto alla condizione che la difficoltà fosse “documentata” allegando il proprio Isee. La rateazione poteva essere poi estesa in via straordinaria fino a 120 tranche per debiti nei casi di “comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica” che comportasse “accertata impossibilità di eseguire il pagamento secondo un piano di rateazione ordinario”. Per le persone fisiche e ditte individuali in regime fiscale semplificato, la condizione era che l’importo della rata fosse superiore al 20% del reddito mensile risultante dall’Isee.
Cosa cambia dal 2025 – Il decreto attuativo della delega fiscale ha stabilito invece che nei casi di difficoltà dichiarata (ma non dimostrata) e quando i debiti non superano i 120mila euro le rate salgano a 84 per chi farà richiesta nel 2025 e 2026, 96 nel biennio successivo e 108 dall’1 gennaio 2029. Verrà concesso quindi di spalmare il debito su un periodo fino a nove anni senza giustificazioni oggettive.
Per i contribuenti che possono documentare di essere finanziariamente alle strette e sono debitori di oltre 120mila euro scatterà invece in via ordinaria, da subito, la chance di rateizzare su un decennio. Se la cifra si ferma sotto quella cifra (sempre nel caso di difficoltà documentata), le rate saranno “da 85 a 120” nel 2025 e 2026, “da 97 a 120” nel 2026 e 2027, “da 109 a 120” a partire dal 2029.
Come si proverà lo “stato di difficoltà” – Il decreto ministeriale firmato da Leo il 27 dicembre stabilisce come andrà documentata la situazione di obiettiva difficoltà. Per persone fisiche e ditte individuali in regime fiscale semplificato varrà l’Isee del nucleo famigliare e il numero di rate da concedere sarà deciso in base al valore del rapporto tra il debito e l’Isee moltiplicato per un coefficiente variabile a seconda dell’indicatore stesso. Società di capitali, cooperative ed enti pubblici saranno invece considerate in situazione di obiettiva difficoltà se – sulla base dell’ultimo bilancio o di una relazione più aggiornata – il loro indice di liquidità è inferiore a 1 e il numero di rate sarà individuato in base al valore dell’indice Alfa, rapporto tra debito e valore della produzione. Sarà poi considerato in ogni caso in “obiettiva difficoltà” chi è stato colpito da eventi atmosferici, calamità naturali, incendi e qualsiasi altro evento eccezionale che abbia reso del tutto inagibile la casa in cui abita, lo studio professionale o la sede dell’impresa.
Al via i lavori per smaltire il magazzino pregresso – La sorte del famigerato magazzino fiscale accumulato dal 2000 a oggi, pari a oltre 1.200 miliardi di crediti in gran parte ritenuti impossibili da riscuotere, sarà decisa nel frattempo da una commissione alla cui guida è stato nominato Roberto Benedetti. Affiancato da un rappresentante del dipartimento delle Finanze e da un uomo della Ragioneria generale dello Stato, l’ex magistrato della Corte dei Conti dovrà analizzare il magazzino e proporre al ministro dell’Economia una via per arrivare al discarico totale o parziale dei ruoli, obiettivo da raggiungere entro il 31 dicembre 2025 per quelli affidati dal 2000 al 2010 (che sono quasi il 30%), entro fine 2027 per quelli risalenti al 2011-2017 ed entro fine 2031 per le pendenze datate 2018-2024. Potrebbe essere una nuova sanatoria di fatto se la “rottamazione” non sarà preceduta da un’istruttoria approfondita, che faccia leva su tutte le banche dati a disposizione e tenga conto di redditi e patrimonio del contribuente in modo da stralciare solo le posizioni davvero inesigibili.