di Blackbird
La seconda manovra economica dell’Era Meloni è legge. Come c’era da aspettarsi è una manovra improntata all’austerità, non poteva essere altrimenti visto che qualche mese fa hanno avallato la sciagurata riforma del patto di stabilità. Quello che impressiona è il silenzio generale che c’è nel paese, non parlo delle opposizioni o dei sindacati, voci isolate e a quanto pare poco considerate, parlo della percezione diffusa tra la gente, confermata dai dati dei sondaggi: il partito dell’attuale Presidente del Consiglio rimane stabilmente primo e non mostra segni di cedimento nel consenso popolare.
Una spiegazione potrebbe essere la non credibilità delle opposizioni. Il quadro attuale è figlio delle riforme neoliberiste degli anni 90, un decennio che in un colpo ha cancellato o fortemente ridimensionato cento anni di lotte per i diritti dei lavoratori e ridisegnato completamente lo Stato. Quelle riforme che una parte consistente dell’opposizione ha contribuito a disegnare. Non comprendere che l’attuale assetto di regole che tiene in piedi l’Ue rende impossibile qualsiasi alternativa progressista è da ingenui, per non dire altro. Non mettere al centro del dibattito delle forze progressiste la ridiscussione radicale dell’attuale assetto europeo – compresa, perché no, la rottura – non dà credibilità alle proposte di voler, ad esempio, rifinanziare la sanità pubblica (impossibile dovendo sforbiciare di dodici miliardi l’anno per sette anni il bilancio dello Stato), di voler perseguire l’obiettivo della transizione ecologica (che costa miliardi, vedi il Superbonus).
La sinistra deve questo al popolo per riconquistarlo, fare autocritica sulla scelta sciagurata di stare dalla parte dello smantellamento del welfare state negli anni 90, dalla parte delle privatizzazioni, della flessibilità lavorativa, delle politiche deflattive. La storia è tornata e rischia di travolgerci.