Se il Milan cercava un allenatore tosto, ambizioso e con le idee chiare, Sèrgio Paulo Marceneiro da Conceiçao, 50 anni, ex attaccante di Lazio, Parma e Inter, ottimo curriculum nella nazionale portoghese (56 presenze e 12 gol, la chicca una tripletta alla Germania nell’euro 2000), è un profilo giusto. Se si voleva un coach in grado di migliorare il lavoro dell’esonerato Fonseca – trattato malissimo e uscito da signore – questo lo sapremo tra qualche mese. Milano, con tutto il rispetto di Porto, e il Milan, appartengono a una dimensione diversa, sebbene quello portoghese sia un club importante del football europeo. Conceiçao ha salutato i Dragoni pochi mesi fa, dopo l’avvento di Villas-Boas alla presidenza e il cambio radicale di struttura, congedandosi da tecnico più vincente della storia biancazzurra: 10 trofei, tra i quali 3 campionati. In Portogallo, ci sono però tre club top – Porto, Benfica e Sporting – e poi il resto della compagnia. L’Italia è un’altra storia. L’ottavo posto del Milan è eloquente.

Conceiçao è stato capace di “resettarsi” da allenatore, mettendo da parte le glorie da calciatore. Non è cosa da tutti ed è un merito che gli va sicuramente riconosciuto. È partito dal basso nel 2012, dall’Olhanense, squadra dell’Algarve, condotta a una tranquilla salvezza. Poi l’Academica della sua città, Coimbra, storica sede universitaria, a seguire Braga dove nel 2015 fu sostituito da Fonseca – quando si dice il destino -, Nantes e, infine, Porto, nel 2017, per restare al comando dei Dragoni fino al 4 giugno 2024. Curriculum esemplare: tre primi posti, tre secondi, un terzo e una percentuale-vittorie del 72,3%. Nel suo regno al Porto, Conceiçao ha usato soprattutto due moduli: 4-4-2 e 4-2-3-1. Ha proposto un calcio di corsa, pressing e carattere. Ha puntato sulla difesa solida e sulle ripartenze rapide. Ha preteso dai suoi giocatori una condizione fisica esemplare. È la sua fissazione anche nella vita quotidiana: si allena in privato e segue una dieta rigorosa come se fosse ancora il ragazzo che cavalcava lungo le corsie laterali.

Conceiçao non ha avuto una vita affettiva facile con la perdita precoce del padre. È il classico portoghese senza fronzoli, riservato e tenebroso. Coltiva ancora amicizie romane, in onore dei tempi laziali. Conosce bene l’Italia e la nostra lingua, sa che cosa lo attenda a Milano, soprattutto da ex interista. Lo spogliatoio del Milan, in particolare la parte più riottosa, dovrà fare i conti con lui: è più duro di Fonseca, forse anche meno signore. Conceiçao aspettava il Milan da tempo. Ha rifiutato l’offerta del Wolverhampton e non ha dato retta ai sondaggi che indicavano in lui l’uomo migliore per sostituire al Botafogo il connazionale Artur Jorge. Di sicuro, ha una voglia smisurata di imporre il suo nome a livello internazionale, in un momento in cui gli allenatori portoghesi fanno tendenza: ben quattro (Amorim, Silva, Pereira e Nuno Espirito Santo) solo in Premier. I coach lusitani propongono un calcio moderno, ma non si vergognano di essere concreti. Possiedono lo spirito avventuriero di un popolo che, con i suoi grandi navigatori, fu determinante per la scoperta del mondo e per tracciare le nuove rotte oltre le colonne d’Ercole. Maneggiano bene la lingua inglese, che in Portogallo masticano tutti grazie alla trasmissione dei film in televisione in lingua originale, con sottotitoli a supporto. Sono ambiziosi e tignosi, attaccati al denaro come pochi. Conceiçao al Porto era il numero uno incontrastato: considerava solo l’autorità del vecchio Pinto da Costa, rimosso dall’avvento di Villas-Boas dopo 42 anni. Al Milan troverà un altro scenario e questo, al netto delle lacune difensive della rosa rossonera, sarà il suo grande problema. Gerry Cardinale, Zlatan Ibrahimovic, Giorgio Furlani, Geoffrey Moncada: un americano, uno svedese, un italiano, un francese. La vera squadra da allenare sarà questa, fino al 30 giugno 2026 (salvo sorprese).

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