Su X (ex Twitter) ha tenuto banco in questi giorni un rabbioso litigio fra trumpiani. Protagonisti i rappresentanti della componente tech, che fa capo a Elon Musk e a Vivek Ramaswamy – recentemente nominati da Trump alla guida del Department of Government Efficiency (DOGE) – e quella dei fautori della linea dura sull’immigrazione, che conta tra i suoi Steve Bannon. Oggetto del contendere: i visti di ingresso negli Stati Uniti della categoria H-1B di cui si servono per esempio le aziende tech della Silicon Valley per reclutare personale straniero altamente specializzato, con un elevato livello d’istruzione.

A favore dei visti sono Musk, proveniente dal Sudafrica, e Ramaswamy, di origine indiana, entrati entrambi negli Stati Uniti grazie ad un visto H-1B. Come loro tanti altri imprenditori di successo e molti personaggi che ora rivestono ruoli apicali all’interno delle più importanti aziende della Bay Area. Per costoro il programma di visti H-1B è fondamentale per garantire che le aziende americane trovino personale altamente qualificato che potrebbe non essere facilmente disponibile nella forza lavoro statunitense, mentre lo è in India e anche in Cina.

I nemici dei visti H-1B vogliono invece che Trump mantenga la sua promessa di promuovere i lavoratori statunitensi imponendo restrizioni più severe all’immigrazione.

La polemica ha assunto toni molto accesi: “La nostra cultura americana ha venerato la mediocrità rispetto all’eccellenza per troppo tempo” ha spiegato Ramaswamy e ha favorito “la reginetta del ballo di fine anno rispetto al campione delle olimpiadi di matematica” e “gli atleti rispetto agli studenti migliori”, consentendo ad altri paesi come la Cina di trattenere ingegneri di talento, mentre gli Stati Uniti hanno perso le migliori reclute.

Intanto Musk, alle prese con chi lo contestava assumendo un atteggiamento derisorio, è esploso dichiarando di essere pronto a innescare una guerra sulla questione dei visti e invitando il suo critico ad andare affanc**o.

Il giorno dopo è intervenuto sulla questione lo stesso Trump, in una intervista telefonica al New York Post in cui sembra prendere le parti di Musk e Ramaswamy: “Mi sono sempre piaciuti i visti, sono sempre stato a favore dei visti. Ecco perché li abbiamo. Ho molti visti H-1B nelle mie proprietà. Ho sempre creduto nell’H-1B. L’ho usato molte volte. È un programma fantastico”.

Chi ricorda il Trump del 2016/17 resta piuttosto sorpreso: se è vero che il contrasto all’immigrazione illegale fu il suo cavallo di battaglia durante la campagna elettorale, non mancarono certo le critiche all’immigrazione legale né i tentativi di limitarla: ancora candidato, nel 2016, Trump definì il programma di visti H-1B “very bad” e “unfair” nei confronti dei lavoratori statunitensi.

Una volta diventato Presidente, nel 2017, emanò un ordine esecutivo (“Buy American and Hire American”) che imponeva ai membri del Gabinetto di suggerire modifiche per garantire che i visti H-1B fossero assegnati solo ai candidati più pagati o più qualificati allo scopo di proteggere i lavoratori americani. Nel periodo della sua presidenza aumentarono le richieste di prove e documenti da allegare alle richieste di visto e i tempi di approvazione dei visti si allungarono.

Quanto ai molti visti H-1B di cui si sarebbero avvalsi i lavoratori presenti nelle proprietà di Trump, risulta difficile capire quali mansioni svolgessero questi dipendenti. Di quanti ingegneri e scienziati altamente qualificati c’è bisogno a Mar a Lago? A Mar-a-Lago sono stati assunti lavoratori stranieri poco qualificati a basso costo, non con visti H-1B ma con visti H-2B, che consentono “ai datori di lavoro statunitensi o agli agenti statunitensi che soddisfano specifici requisiti normativi di portare cittadini stranieri negli Stati Uniti per ricoprire lavori temporanei non agricoli”.

Guarda caso: l’ordine esecutivo “Buy American and Hire American” lasciò il sistema di visti H-2B e il processo di richiesta completamente invariati e si può ben capire il perché. Lo stesso Trump l’aveva spiegato nel corso di un dibattito, nel marzo 2016: “È molto, molto difficile trovare personale. Ma altri hotel fanno esattamente la stessa cosa… Non c’è niente di sbagliato in questo. Non abbiamo scelta”.

E infatti può dirlo anche Musk: “Non c’è niente di sbagliato. Non abbiamo scelta” e, dopo il suo mega contributo per la campagna elettorale, Musk ha tutta la comprensione di Trump: H-1B o H-2B, che differenza fa?

Il problema per americani e non, negli Stati Uniti e nel resto del mondo, sta nel fatto che, volute o non volute, le continue contraddizioni nelle dichiarazioni di Trump creano incertezza sulle sue mosse future. Lo dimostra l’iniziativa di molte università americane che, nei giorni scorsi, hanno consigliato, in via precauzionale, agli studenti stranieri tornati nei paesi di origine per le vacanze natalizie, di rientrare negli Stati Uniti prima del 20 gennaio 2025, data di insediamento di Trump, nel timore di potenziali cambiamenti nelle politiche di immigrazione e di restrizioni sui visti, che finissero con il comprometterne il ritorno.

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