Gli allenatori inglesi sono cattivi maestri: avevamo da tempo qualche sospetto, ma un articolo pubblicato dal sito della BBC adesso lo certifica. Chi ama e segue il calcio d’Oltremanica sapeva che l’ultimo tecnico made in England a vincere il campionato è ormai preistoria: Howard Wilkinson, 1992, coach del Leeds. L’ascesa di Eddie Howe, l’exploit di Graham Potter al Brighton e i discreti risultati ottenuti da Gareth Southgate in nazionale, strombazzati dai media di casa, avevano illuso che il peggio fosse alle spalle e dopo trent’anni di declino la situazione stesse cambiando, ma le cifre nude e crude dell’attuale Premier dimostrano che la crisi continua. Anzi, peggiora. Lo stesso studio racconta che i nuovi guru del campionato inglese sono spagnoli e portoghesi. E ribadisce l’autarchia della Serie A e la bravura della nostra scuola. Per dire: Champions, Supercoppa Uefa e Mondiale per club sono stati vinti da Carlo Ancelotti, mentre l’Europa League è stata il trionfo di Gian Piero Gasperini.

In Premier navigano solo due manager inglesi: Eddie Howe (Newcastle) e Sean Dyche (Everton). Hanno rischiato di essere esonerati: Howe ha vissuto un autunno difficile, mentre Dyche ha dovuto fare i conti con il momento delicato dell’Everton, da poche settimane nel portafoglio di Dan Friedkin, proprietario statunitense della Roma. In teoria ci sarebbe un terzo tecnico made in England, Kieran McKenna (Ipswich), nato a Londra, ma di nazionalità calcistica nordirlandese. C’era un altro inglese su pista, Gary O’Neil, ma il Wolverhampton lo ha licenziato. La cifra attuale è la più bassa della storia della Premier. Nel 1992-93, quando fu varato il nuovo format del campionato inglese, furono 16 su 22. Il crollo è iniziato nel 2009-2010, con 8 coach “indigeni”. Il trend è continuato e siamo arrivati ai numeri del 2024-2025. Attualmente, in Premier ci sono cinque allenatori spagnoli (Guardiola, Arteta, Emery, Iraola, Lopetegui) e quattro portoghesi (Amorim, Espirito Santo, Pereira, Silva), due inglesi (Howe, Dyche), due olandesi (Slot, Van Nistelrooij), l’italiano Maresca, il tedesco Hurzeler, il danese Frank, l’austriaco Glasner, l’australiano Postecoglu, il croato Juric e il nordirlandese McKenna. Dyche, uno dei due superstiti, racconta: “Il numero di proprietari stranieri in Premier League mi pare una delle chiavi del discorso: per questa ragione non mi sorprende che ci siano molti allenatori di varie nazionalità. La cosa non mi ha mai dato fastidio: se sei abbastanza bravo da ottenere il lavoro, lo avrai. Mi dispiace per quelli esonerati: alla fine sono sempre i risultati il metro di giudizio del nostro mestiere”. La mediocrità dei manager inglesi è certificata anche dai campionati stranieri: gli unici in panchina nei principali tornei europei sono Liam Rosenior (Strasburgo) e Will Still, nato e cresciuto in Belgio (Lens). Un ulteriore freno è rappresentato da un altro problema: mentre spagnoli e portoghesi maneggiano bene l’inglese, i coach made in England non conoscono altre lingue e faticano ad accettare l’idea di mettersi a studiare.

L’Italia rappresenta il polo opposto: in Serie A, 16 dei 20 allenatori sono “nostrani” (80%), mentre nella Liga gli spagnoli sono 14 su 20 (70%). In Ligue 1 e in Bundesliga siamo in perfetta parità: 50% allenatori nazionali, 50% stranieri, anche se in Germania l’Union Berlin ha esonerato venerdì il danese Bo Svensson e deve essere ancora nominato il successore. La storia del Premier è un inno alla scuola italiana: quattro allenatori vincitori (Ancelotti, Mancini, Ranieri, Conte). Poi scozzesi (Ferguson e Dalglish), francesi (Wenger), spagnoli (Guardiola), tedeschi (Klopp), portoghesi (Mourinho), cileni (Pellegrini). Harry Redknapp, con il Portsmouth, è stato l’ultimo allenatore inglese a vincere un trofeo importante: la FA Cup del 2008 alla guida del Portsmouth. L’ultima volta che un allenatore inglese è arrivato secondo in Premier League risale al 1996: Kevin Keegan (Newcastle). In Europa, confermato lo strapotere degli allenatori italiani negli ultimi trent’anni: oltre 1.000 presenze in Champions, rispetto alle 75 degli inglesi. Una crisi, quella dei vecchi maestri, che ha portato alla recente nomina del tedesco Thomas Tuchel alla guida della nazionale. La Germania non ha mai ingaggiato un coach straniero, l’Argentina l’ha fatto per l’ultima volta nel 1934, il Brasile nel 1965, l’Italia nel 1966 e la Spagna al massimo ha avuto tecnici con doppia nazionalità (Santamaria, spagnolo-uruguagio, nel 1982). Nel calcio dei pionieri, gli inglesi andarono in giro per il mondo a insegnare calcio, ma dopo la Seconda guerra mondiale è cominciata la ritirata. Oggi, la crisi tecnica è profonda. Oltremanica sono stati abili nel creare il campionato più ricco e seguito del mondo, ma le star, in campo e panchina, sono straniere. L’anima Brexiter, che serpeggia anche nel football inglese, dovrà farsene una ragione.

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