Il 14 marzo 2024 si è costituita dopo un lungo e sofferto iter la Commissione parlamentare di inchiesta che indaga sulle scomparse di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori, le due 15enni risucchiate dal nulla a Roma nell’estate del 1983. A presiederla è il senatore Andrea De Priamo, Vice Presidenti i deputati Riccardo Augusto Marchetti e Roberto Morassut. A quasi un anno dall’inizio dei lavori, tracciamo un quadro con gli elementi di maggiore interesse emersi dalle audizioni, sul mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi.
L’audizione del fratello Pietro
Il primo ad essere ascoltato dalla Commissione d’inchiesta che indaga sulle sparizioni di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, insieme alle tre sorelle e alla sorella di Mirella, è stato il fratello della 15enne cittadina vaticana scomparsa il 22 giugno del 1983, Pietro Orlandi. L’uomo, che da 41 anni lotta per ottenere la verità su questo mistero che sembra impenetrabile, il 9 maggio è partito dai primi momenti dopo la scomparsa. In particolare, Orlandi ha raccontato dell’incontro con il vigile Alfredo Sambuco e il poliziotto Bruno Bosco che quel pomeriggio erano entrambi in servizio come vigilanti davanti al Senato. I due all’epoca dichiararono che videro molto probabilmente Emanuela Orlandi parlare con un uomo distinto, poggiato a un Bmw parcheggiato davanti a Palazzo Madama, con tra le mani una valigetta targata Avon. “Abbiamo noi incontrato quel primo vigile e quel primo poliziotto. Io lo considero un primo depistaggio, perché per tanto tempo e tanti mesi si è seguito questo famoso uomo dell’Avon e, nonostante tutto, anche adesso, dopo quarant’anni, quando si racconta questa storia, il primo indizio è il famoso uomo dell’Avon che ha fermato Emanuela”. Nella sua audizione c’è un altro riferimento importante al presunto coinvolgimento degli 007. “I Servizi segreti sono venuti a casa nostra il 25 giugno, quindi tre giorni dopo. Perché? Questo personaggio dei Servizi, che si chiamava Giulio Gangi, un ragazzino di ventun anni, aveva anche conosciuto Emanuela, casualmente, perché amico dei nostri cugini”. Un altro dettaglio fondamentale dell’audizione di Pietro riguarda la prima telefonata dei rapitori. “Un particolare, proprio dei primi giorni, è venuto fuori soltanto due o tre anni fa. Ufficialmente, la prima telefonata dei presunti rapitori è arrivata il 5 luglio, dopo il famoso appello di Giovanni Paolo II durante l’Angelus del 3 luglio. Invece, tre anni fa è emerso che la prima telefonata dei presunti rapitori alla sala stampa vaticana è arrivata la sera del 22 giugno, quando noi ancora eravamo lontanissimi dall’idea che Emanuela potesse essere scomparsa. Tra le 20 e le 21 chiamarono la sala stampa vaticana, cercando il cardinal Casaroli che era il segretario di Stato all’epoca e si trovava in Polonia quel giorno, perché il Papa quel giorno era in Polonia, in un viaggio trionfale legato a Solidarnosc. Casaroli non c’era e allora chiamarono monsignor Panciroli, capo della sala stampa vaticana, che stava in Polonia. Panciroli chiamò la segreteria di Stato. In quel momento, erano sol tanto tre: il cardinal Silvestrini, che era una sorta di Ministro degli esteri, e due monsignori, poi diventati cardinali, monsignor Sandri e monsignor Viganò. Loro ricordano questo fatto, tant’è vero che ci hanno detto che al l’epoca pensarono fosse uno scherzo”.
L’audizione del cugino Pietro Meneguzzi
Il 30 maggio è stato ascoltato il cugino di Emanuela, Pietro Meneguzzi. Sin dalle prime ore dopo il mancato rientro di Emanuela, iniziò le ricerche in moto con il cugino Pietro Orlandi e fu il padre Mario, all’epoca, a prendere le telefonate che arrivavano a casa Orlandi da parte dei presunti rapitori (celebre quella con l’Amerikano) e a fare le veci del padre di Emanuela, Ercole Orlandi. L’uomo ha dichiarato in commissione: “Emanuela quel giorno andò via con qualcuno di cui si fidava moltissimo. Non avrebbe mai seguito uno sconosciuto”. Anche lui ha confermato il dettaglio relativo ai Servizi. “Si presentarono in Vaticano Giulio Gangi (agente del Sisde scomparso nel 2022, nda) e due suoi colleghi. Gangi lo conoscevo per via del mio lavoro alla Camera, e lui mi aveva sentito parlare della scomparsa di Emanuela. Io da anni ho una mia idea che dietro la scomparsa di Emanuela non ci sia una trama internazionale, che non sia il caso di volare troppo alto: la pista per me è molto più terrena e più grave.”
Le amiche di Emanuela
Il 20 giugno sono state ascoltate dalla commissione le allieve della scuola di musica “Ludovico Da Victoria”, la stessa frequentata da Emanuela e da cui si persero le tracce quel giorno. Parliamo di Laura Casagrande, Cristina Franzè e Alessandra Cannata. La prima è una testimone importante perché l’8 luglio del 1983 quindici giorni dopo il rapimento della Orlandi, uno sconosciuto, o con accento mediorientale, telefonò proprio a casa di Laura Casagrande per dettare a sua madre (che ripose al telefono) un messaggio da consegnare all’Ansa.Le dissero di prendere carta e penna e cominciarono a dettare un messaggio lunghissimo, che è agli atti. I presunti rapitori avevano il suo numero perché nel corso dell’anno scolastico Laura diede a Emanuela il suo numero di telefono e l’indirizzo. Sembra che il numero fosse su un bigliettino, e che sia stato poi reperito da chi rapì Emanuela dalla tasca dei suoi jeans. Ma era scritto anche sul quaderno di solfeggio poi pubblicato dagli organi di stampa. Si legge dalla sua audizione: “La voce aveva un timbro tra l’arabo, l’orientale e il mediorientale, anche se non so distinguere l’arabo dal turco”. Tornando al giorno della scomparsa di Emanuela: “Il ricordo che ho impresso di quel giorno è che non venne alla lezione di coro. La aspettavo, perché era una delle ragazze con le quali avevo più legato. Non la vidi arrivare o arrivò molto tardi, a lezione cominciata: questo ora mi sfugge”. La Casagrande, dopo la scomparsa di Emanuela, interruppe la sua frequentazione alla scuola di musica. “Quella dell’adescamento era l’idea che ci eravamo fatti un po’ tutti. Certamente, non che fosse andata via da sola. Allontanarsi da sola no!”
Il procuratore Giancarlo Capaldo
Il 18 luglio è intervenuto in commissione l’ex procuratore Giancarlo Capaldo, che più a lungo di tutti ha indagato sul mistero di Emanuela. Il magistrato si è concentrato sulla fase del sequestro della ragazza, chiarendo il ruolo del criminale Enrico de Pedis, più volte tirato in ballo sulla vicenda. Ha dichiarato alla commissione di inchiesta che “Con la vicenda Orlandi secondo me c’entra Enrico De Pedis, non la banda della Magliana, è una vicenda personale di De Pedis. Non è che la banda della Magliana volesse ricattare qualcuno come il Papa e il Vaticano, è un altro genere di attività che fu messa in campo. De Pedis ha avuto il ruolo di organizzare il prelevamento e il sequestro e poi la restituzione della ragazza a una persona non identificata. Non sapeva neppure perché Emanuela Orlandi era stata sequestrata, né ha partecipato alla gestione di eventuali trattative successive. È da vedere come colui che ha organizzato, sul piano materiale, un servizio di basso livello ma molto utile e particolare per qualcuno”. Capaldo ha anche ricordato della traslazione che fece per conto del Vaticano della salma di De Pedis dopo un incontro con i due gendarmi del Vaticano Domenico Giani e Costanzo Alessandrini. Il criminale fu tumulato nella cripta della Basilica di Sant’Apollinare (che ospitava anche la scuola di musica di Emanuela), grazie a un permesso concesso dall’allora rettore della Basilica don Pietro Vergari.
Il ricordo di Padre Federico Lombardi
Il 1 agosto ha parlato davanti alla bicamerale Padre Federico Lombardi, ex direttore della sala stampa della Santa Sede. Il presbitero ha ricordato i primi momenti della vicenda. “Ricordo che l’allora segretario di Stato del Vaticano Agostino Casaroli e Martinez Somalo, il suo sostituto, presero con molta serietà la questione. Casaroli, come sapete, accettò che una linea riservata diretta, da parte di chi avesse dei messaggi da dare e dai rapitori, arrivasse direttamente a lui e non a un suo collaboratore. Ancora, l’autorizzazione al controllo del centralino e delle linee telefoniche ed anche del telefono di casa Orlandi, il rapporto delle autorità italiane inquirenti direttamente con gli Orlandi, senza dover dipendere da nessun altro intermediario”.
Monsignor Valentino Miserachs
Il 3 ottobre si è seduto davanti alla commissione d’inchiesta l’ultima persona conosciuta che potrebbe aver visto Emanuela Orlandi quel giorno, il suo maestro di canto corale Monsignor Valentino Miserachs. Era già stato interrogato dal Vaticano nel 2012: “Papa Benedetto voleva fare luce sulla questione. Non so se oltre me è stato convocato qualcuno però io fui convocato dal capo della Gendarmeria del Vaticano”. Miserachs ha parlato di un incontro con l’ex dipendente del Vaticano, poi arrestata e condannata nell’ambito di Vatileaks 2 per aver diffuso documenti riservati della Santa Sede, Francesca Chaouqui. “Sono venuti da me Francesca Chaouqui e Pietro Orlandi, ndr) chiedendomi se si poteva reperire una cassa che la stessa Francesca Choqui diceva di aver consegnato nelle mani di un cardinale – ha ricordato il monsignore, anche lui oggi canonico della basilica di Santa Maria Maggiore –. Lei diceva di aver portato una cassa che avevano consegnato al cardinale Santos Abril e che l’avrebbero portata nel sotterraneo dove c’è il cimitero dei canonici. Secondo quanto diceva, l’aveva portata personalmente e deposta nel sotterraneo dove c’è il museo dei canonici. Se c’è questa cassa, io non ho alcuna possibilità di accedere, la basilica è stata commissariata”. In questa cassa, secondo quanto appreso e dichiarato da Pietro Orlandi, potrebbe esserci una documentazione segreta su Emanuela.
L’audizione dell’avvocato Sgrò: le agende di Ciampi
L’avvocato della famiglia Orlandi Laura Sgrò è stata ascoltata dalla commissione lo scorso 17 ottobre. La legale ha rinnovato il suo appello al Santo Padre ad incontrare la famiglia. Tra gli elementi nuovi emersi nel corso dell’audizione di Laura Sgrò, c’è una cosa che riguarda l’archivio storico della Presidenza della Repubblica e il presidente Carlo Azeglio Ciampi. “A quanto pare il presidente Ciampi aveva delle agende meticolosissime che sono state donate alla presidenza della Repubblica, consultate anche nel processo trattativa Stato-mafia. La Sgrò ha chiesto al presidente della Repubblica di poterle consultare perché è stato Ciampi ad avere concesso la grazia ad Alì Agca. É plausibile che ci siano degli appunti e la grazia ad Agca ha probabilmente a che fare con Emanuela Orlandi”.
L’ex capo della gendarmeria vaticana
Il 21 novembre è stato ascoltato dalla commissione l’ex capo della gendarmeria vaticana Domenico Giani che è tornato sulla questione della tumulazione di de Pedis in una basilica vaticana. Giani nel corso del suo intervento, ha dichiarato che non esisterebbe alcuna indagine in Vaticano su Emanuela Orlandi. Ma quando gli è stato chiesto, allora, per quale motivo fosse stato convocato monsignor Valentino Miserachs Grau, il maestro di canto corale (l’ultima lezione a cui prese parte Emanuela Orlandi prima di sparire) ha spiegato alla commissione: “Nel 2011-2012 è stata fatta una raccolta di informazioni, confluita nella parte di cui si sta occupando attualmente l’autorità giudiziaria vaticana, Io sono stato chiamato da monsignor Georg per fare una ricostruzione storica dei fatti che riguardavano la vicenda di Emanuela e, nell’ambito di questa ricostruzione, alcune persone sono state sentite per mettere insieme dei tasselli. Ma non era un’attività giudiziaria, era un’attività informativa per ricostruire una serie di elementi”. Elementi di cui, ad oggi, si starebbe ancora servendo il Vaticano.
L’audizione di Andrea Mario Ferraris
L’ultimo ad essere ascoltato, il 5 dicembre, dalla commissione è colui che pochi mesi dopo la scomparsa di Emanuela avrebbe sposato la più grande delle sorelle: l’attuale marito di Natalina Orlandi, Andrea Mario Ferraris. Ma a quel matrimonio purtroppo Emanuela non è riuscita a prendere parte. “La scomparsa di Emanuela a giugno ha scombussolato tutti i piani ma soprattutto ha stravolto la nostra esistenza. Ricordo lo strazio della mamma di Emanuela, che in quei giorni urlava e chiamava la figlia. Ercole (il papà di Emanuela, ndr) aveva i suoi convincimenti, confidava nelle istituzioni, piano piano lui è cambiato, quella crosta ruvida di un padre che doveva assumere le sue decisioni alla vecchia maniera, alla fin fine si è aperto al dialogo e ha capito che si era fidato troppo e quel fidarsi non aveva sortito effetto, quando è venuto poi a sapere che l’altra figlia del commesso era stata pedinata, quella della famiglia Gugel (Raffaella, anche lei figlia di un dipendente del Vaticano, ndr) allora ha capito”. Sul movente del sequestro e delle telefonate pervenute in quegli anni Ferraris ha detto: “Non credo che (chi telefonava alla famiglia, ndr) avesse in mano Emanuela e non è stato mai posto un ricatto nei confronti di Ercole, alla famiglia non è stato fatto mai nessun genere di ricatto. È stato detto state tranquilli, stiamo lavorando per voi, la bambina sta bene”.