La decisione dei giudici sui domiciliari per Mohammad Abedini Najafabadi, il cittadino iraniano detenuto nel carcere di Opera per il quale gli Usa chiedono l’estradizione, è il nuovo delicato passaggio nella vicenda diplomatica che incrocia il destino della giornalista Cecilia Sala, arrestata a Teheran lo scorso diciannove dicembre con accuse non chiare. Cosa che corrobora l’ipotesi che il suo fermo sia una risposta all’arresto avvenuto pochi giorni prima, con l’obiettivo di arrivare a uno “scambio“. Non è un caso se il viceministro degli esteri iraniano, a colloquio con l’ambasciatrice italiana a Teheran, ha menzionato il caso dell’ingegnere esperto di droni.
Il difensore di Abedini ha presentato lunedì la richiesta per l’affievolimento della misura nei confronti del suo assistito e la Corte d’Appello di Milano ha quarantotto ore di tempo per fissare un’udienza e discutere l’istanza. Pesa quanto accaduto con il caso di Artem Uss, l’imprenditore russo figlio di un oligarca vicinissimo a Putin, su cui pendeva una richiesta di estradizione avanzata dagli Stati Uniti, posto ai domiciliari a Milano e poi evaso. Gli americani si dissero “esterrefatti” per la decisione presa dalle toghe sui domiciliari all’imprenditore russo e il ministro Carlo Nordio promosse un’azione disciplinare contro i giudici, tacciati di “grave ed inescusabile negligenza” in merito a quel provvedimento. Il Csm poi assolse i tre giudici accogliendo la richiesta della procura generale della Cassazione.
Il cittadino iraniano di trentotto anni, arrestato lo scorso 16 dicembre nello scalo meneghino, è accusato di dagli Stati Uniti di cospirazione e supporto materiale al Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica. Al momento è detenuto nel carcere di Opera in regime di alta sicurezza. Ma per il suo legale, Alfredo De Francesco, non c’è pericolo di fuga né reiterazione del reato. Nella sua istanza indica un appartamento a Milano come luogo in cui sia trasferito per gli arresti domiciliari. Secondo il Corriere della Sera, nel corpo della richiesta c’è anche una formale dichiarazione della rappresentanza diplomatica di Teheran in Italia che presta la garanzia che Najafabadi non fuggirebbe. Sottinteso, scrive Luigi Ferrarella, è che “questo riconoscimento si riverbererebbe sull’affidabilità con la quale l’interlocutore statuale iraniano tratterebbe la giornalista italiana”.
Intanto le autorità di Washington hanno già consegnato alla Farnesina la documentazione con la richiesta di estradizione di Abedini, che sarà inviata al ministero della Giustizia. In piena trattativa, il governo potrebbe prendere tempo visto che il Guardasigilli avrà a disposizione trenta giorni prima di trasmettere gli atti alla Corte d’Appello. In quel lasso di tempo il ministero può fare delle valutazioni formali, chiedendo eventuali integrazioni o precisazioni alla giustizia americana.
Il trasferimento del trentottenne iraniano a Teheran è solo una della opzioni in campo. Ed è quella su cui gli Stati Uniti, l’altro Paese coinvolto nella trattativa, sarebbe meno disponibile. L’altra ipotesi è di uno scambio triangolare come già avvenuto in diversi altri casi: la liberazione di prigionieri iraniani in altri Paesi, che potrebbero tornare a Teheran solo dopo il rilascio della reporter romana. Un’operazione che potrebbe riuscire però solo grazie all’intervento degli Usa, i quali avrebbero il potere di sollecitare a loro volta altri Stati per trovare una soluzione.
Intanto l’altro iraniano arrestato con le stesse accuse, Mahdi Mohammad Sadeghi, catturato in Massachusetts, tornerà in tribunale a Boston giovedì dopo essersi dichiarato non colpevole e potrebbe quindi essere rilasciato.