Le ultime sparate sono state su canale di Panama e Groenlandia. Donald Trump afferma di volerle prendere, o riprendere, per ragioni strategiche e commerciali. Non si capisce come. Se attraverso un’offerta economica. Se pensa a uno scambio (Portorico per il canale di Panama). Se ha in mente qualche forma di ritorsione, magari militare. Sono certe due cose. La prima. L’America First trumpiano, che sinora aveva mantenuto un carattere di disimpegno degli Stati Uniti dal mondo, assume improvvisamente un volto aggressivo verso di esso. Le pretese di Trump su canale di Panama e Groenlandia hanno però anche l’effetto di rendere ancora più incerto e preoccupante il quadro interno e internazionale. Trump entra alla Casa Bianca, il prossimo 20 gennaio, promettendo molto, minacciando altrettanto.
IL “DAY ONE” – Cambiamenti “a un ritmo mai visto nella storia”. La frase pronunciata durante un’intervista a Fox News dalla portavoce di Trump, Karoline Leavitt, illumina cosa succederà nel primo giorno di governo di Donald Trump. Il 20 gennaio il presidente è pronto a riversare sull’America, e sul mondo, un vero e proprio “fiume” di ordini esecutivi con cui segnalare la discontinuità con l’amministrazione Biden. L’immigrazione sarà al centro del pacchetto di misure. Trump dovrebbe reintrodurre il Title 42, la misura che consente di espellere dal suolo statunitense quei migranti che sono stati in Paesi dove è presente una malattia trasmissibile. Il Title 42 fu introdotto da Trump durante la pandemia ed è scaduto nel maggio 2023, con la fine dell’emergenza sanitaria. Bisogna capire come lo rimodulerà, in assenza di visibili ragioni sanitarie. Appare comunque certo un ricorso ai tribunali contro la decisione da parte dei gruppi per i diritti umani. Oltre il Title 42, è probabile che Trump voglia rafforzare i poteri dei corpi di polizia statali, dell’esercito, dell’FBI, nella detenzione e deportazione degli illegali.
Tra gli ordini esecutivi del primo giorno di mandato ci saranno con ogni probabilità anche molti atti di perdono per i condannati del 6 gennaio – “è una priorità, le loro condanne sono ingiuste”, ha detto Trump in una recente intervista -, misure volte a facilitare la concessione di permessi per il fracking e le trivellazioni, un aumento delle tariffe doganali, oltre che nuove norme in tema di aborto e diritti transgender. Trump vorrebbe cancellare i rimborsi di viaggio per le donne soldato che vogliono abortire, oltre a limitare pesantemente l’accesso alle cure per i minori transgender. “Esistono solo due generi”, ha spiegato di recente Trump.
Gli ordini esecutivi del primo giorno hanno l’obiettivo di mostrare le linee strategicamente più importanti della nuova amministrazione. Trump sa di non avere molto tempo a disposizione. In base al 22esimo Emendamento, può servire solo un altro termine. A novembre 2026 ci sono le elezioni di midterm che potrebbero levare ai repubblicani la maggioranza alla Camera e al Senato. Gli restano quindi due anni per attuare il promesso programma di radicale trasformazione dell’America. Questo spiega l’importanza assunta dagli ordini esecutivi del primo giorno e la velocità con cui sta procedendo. Sono 32, ad esempio, le persone sinora selezionate per posizioni di alto livello nella sua futura amministrazione. Erano tre negli stessi giorni del 2016, quando Trump stava costruendo il suo primo governo.
IMMIGRAZIONE – Vale la pena di tornare sul tema, a prescindere dagli ordini esecutivi del primo giorno di mandato. Bloccare gli illegali, deportarli, sono state le promesse centrali della campagna elettorale, quelle su cui il futuro presidente pensa di aver vinto le elezioni. A parte la retorica violenta, è possibile che le promesse in tema di immigrazione si risolvano in pura retorica. Deportare milioni di persone presenta enormi problemi logistici e costi difficilmente sostenibili. È stato per esempio calcolato che far partire un’operazione di deportazione per gli 11 milioni di illegali presenti sul territorio Usa fino al 2022, e per i circa 2,3 milioni che sono arrivati nel 2023 e 2024, costerebbe al governo americano 88 miliardi di dollari l’anno, per un costo totale di 967,9 miliardi nel corso di un decennio. È una spesa che gli Stati Uniti non possono permettersi.
Senza contare gli effetti che le deportazioni avrebbero sul complesso dell’economia Usa. Un recente rapporto del Peterson Institute for International Economics mostra che deportare 8,3 milioni di immigrati ridurrebbe il Pil del 7,4% e l’occupazione per i lavoratori americani del 7% entro il 2028. Altro dato. Tra il 4,4% e il 5,4% della forza lavoro complessiva Usa è composta da lavoratori che si trovano nel Paese illegalmente. Settori come l’edilizia, l’agricoltura, l’assistenza sanitaria e l’ospitalità dipendono da questa manodopera. Deportarli avrebbe effetti negativi sulle imprese, riducendo la forza lavoro e portando, sono sempre cifre degli economisti del Peterson Institute, a un aumento dei prezzi del 9,1% entro il 2028 (nel caso di deportazione di 8,3 milioni di illegali). C’è poi un rapporto della Brookings Institution che rivela come le persone nate all’estero nel corso della loro vita paghino 237mila dollari in più di tasse rispetto a quanto ricevono in servizi dai governi federali, statali e locali. Quanto detto da Trump in una recente intervista a Kristen Welker su Meet the Press di NBC – gli immigrati “ci stanno costando una fortuna” – non è dunque vero. Gli immigrati, anche quelli illegali, contribuiscono ampiamente all’economia americana e versano a Medicare e Social Security molto più di quello che poi ne traggono.
Molte delle promesse più bellicose sono quindi destinate a trasformarsi in atti di facciata. Aspettiamoci molte photo opportunities: pattuglie di confine che arrestano alcune decine di migranti, strette di mano con leader stranieri per gli accordi di rimpatrio, illegali messi a forza sugli autobus diretti alla frontiera. Ma la “più vasta operazione di deportazione di massa nella storia del mondo” resterà, con ogni probabilità, lo strumento retorico con cui Trump in campagna elettorale ha cercato di placare angosce e disorientamento dei gruppi sociali più deboli. Anche la promessa di eliminare lo ius soli, il diritto alla cittadinanza per chi è nato sul suolo degli Stati Uniti, è destinato a restare sulla carta. Per farlo, Trump ha bisogno del voto di due terzi del Congresso e di tre quarti delle legislature statali. Quei voti non ci sono. Lo ius soli, almeno per il momento, non si tocca.
GAZA E UCRAINA – Trump ha più volte definito la sua ex rivale, Kamala Harris, “un’incapace”. Non essere in grado di chiudere le guerre a Gaza e in Ucraina era una delle ragioni spesso citate a sostegno della tesi dell’incapacità. Ovviamente, il presidente in campagna elettorale ha spesso detto di poter far finire velocemente i conflitti. La guerra in Ucraina, addirittura, “in 24 ore”. Dopo la vittoria del 5 novembre, Trump non ha più ripetuto la promessa. Ci sono comunque segnali piuttosto chiari di quanto potrebbe avvenire nelle prossime settimane. L’inviato per la pace in Ucraina dell’amministrazione, Keith Kellogg, vuole portare le parti al tavolo dei negoziati, congelando la guerra sull’attuale linea del fronte. La questione dell’entrata dell’Ucraina nella Nato verrebbe messa da parte. Kiev in cambio otterrebbe larghe forniture militari. È un piano che presenta diverse incognite. L’Ucraina, che in questo modo finirebbe per perdere importanti settori del suo territorio a Est, vuole garanzie sul fatto che la Russia non tornerà all’ attacco nel futuro. La pioggia di bombe scaricate da Mosca su Kharkiv e altre città la notte di Natale sicuramente non aiuta a raggiungere un compromesso. Una cosa è certa. Il conflitto in Ucraina non si risolverà “in 24 ore”.
Analoghe incertezze regnano sull’altra guerra, quella a Gaza. Anche qui, Trump ha detto di voler chiudere il conflitto nel più breve tempo possibile. Non si capisce come. Il tycoon è stato, come ha detto Michael Oren, ex ambasciatore israeliano a Washington, il presidente “più filo-Israele della storia americana. Ha spostato l’ambasciata Usa a Gerusalemme. Ha promosso gli Accordi di Abramo, la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, senza che il governo di Gerusalemme dovesse fare alcuna concessione sui palestinesi. Le attese di Benjamin Netanyahu e della destra israeliana sono alte anche per il secondo mandato. Si spera che Trump appoggi il piano di progressiva espulsione dei palestinesi da Gaza, oltre a portare avanti il processo di normalizzazione con l’Arabia Saudita, allargare il controllo di Israele sul Golan, mantenere un atteggiamento di rigida chiusura nei confronti dell’Iran. Se anche Trump e la sua squadra decisamente schierata su posizioni filo-israeliane – Marco Rubio al Dipartimento di Stato, Elise Stefanik come ambasciatrice all’Onu, Mike Waltz come consigliere alla sicurezza nazionale – dovessero aderire a queste richieste, è improbabile che ciò possa davvero portare alla fine delle ostilità e a una ridefinizione complessiva del quadro regionale. Difficile per esempio che l’Arabia Saudita possa accondiscendere all’apertura di normali relazioni diplomatiche con Israele nel caso di progressivo allontanamento dei palestinesi dalla Striscia. Trump ha poi chiesto al governo di Netanyahu di “finire il lavoro” e distruggere Hamas. Non è chiaro come Israele dovrebbe farlo. Ed è impossibile che Hamas decida di deporre le armi e consegnare gli ostaggi – “fate tornare a casa gli ostaggi prima del 20 gennaio o ne pagherete le conseguenze!”, ha intimato Trump – se l’obiettivo finale è quello della distruzione dell’organizzazione islamica. Insomma, a meno di clamorosi colpi di scena, non sembra che la conclusione della guerra a Gaza sia facile da raggiungere per Trump.
AMBIENTE – Quello che ci si può aspettare da un secondo mandato di Trump in tema ambientale è una cosa: la cancellazione di quanto fatto da Joe Biden nei passati quattro anni. Durante il suo primo mandato, Trump ha fatto uscire gli Stati Uniti dall’Accordo sul clima di Parigi ed eliminato un centinaio di regolamentazioni ambientali. Lo slogan scelto per il suo secondo mandato, Drill, Baby, Drill (trivella, baby, trivella), rende più che chiari i suoi piani. Nello sforzo di stimolare la crescita economica, come ha scritto il Washington Post, Trump punta a “incrementare la produzione di combustibili fossili, revocare le norme volte a limitare l’inquinamento, smantellare il sostegno alle energie rinnovabili e fare un passo indietro in materia di negoziati internazionali sul clima”. Il futuro presidente ha già detto di voler cancellare l’Inflation Reduction Act di Biden che ha stanziato quasi 400 miliardi di dollari in dieci anni per ridurre le emissioni. Una sua totale abrogazione sarà comunque politicamente difficile, in quanto circa l’80% dei finanziamenti stanziati per l’energia pulita spesi negli ultimi due anni sono finiti nei distretti congressuali repubblicani.
Trump ha scelto Lee Zeldin come capo dell’EPA, l’agenzia federale per l’ambiente. Zeldin, deputato dello Stato di New York, fedelissimo del presidente (ha sostenuto la tesi delle elezioni truccate nel 2020), non ha esperienza ambientale, ma a lui Trump affida il compito di indebolire le regolamentazioni dell’EPA. Contro la strategia del tycoon potrebbe ergersi un inatteso avversario: il settore privato, i cui investimenti in energia pulita sono cresciuti durante la prima amministrazione Trump e durante quella Biden, in particolare per i progetti di decarbonizzazione e mitigazione, e che ora potrebbe resistere allo smantellamento delle normative in vigore.
SALUTE – Trump ha scelto il no-vax Robert F. Kennedy Jr per guidare il Dipartimento alla Salute. Nel caso venisse confermato dal Senato – cosa tutt’altro che certa, vista l’opposizione di molti medici, scienziati, case farmaceutiche – Kennedy si ritroverebbe a capo di una struttura con circa 80mila dipendenti, un budget di mille miliardi di dollari e competenze non soltanto nel settore sanitario, ma anche in quelli della sicurezza alimentare e della salute pubblica. Per quanto riguarda i vaccini, non è chiaro quello che Kennedy intenda fare. Come fondatore del gruppo no-vax Children’s Health Defense, il possibile segretario alla Salute ha diffuso per quasi due decenni affermazioni bollate come non scientifiche, tra cui quella secondo cui le vaccinazioni infantili sono collegate all’autismo. Kennedy ha comunque negato in diverse occasioni di essere no-vax e affermato di aver fatto vaccinare i suoi figli. In caso di conferma da parte del Senato, spiega di voler esaminare i dati governativi sulla sicurezza dei vaccini, condividendoli poi con gli americani. “Se i vaccini funzionano per qualcuno – ha detto – non glieli toglierò. Ci dovrebbe essere possibilità di scelta e questa scelta dovrebbe essere sostenuta dalle migliori informazioni”, ha detto a NBC.
Kennedy ha anche affermato di voler rivedere le normative che supervisionano pesticidi, erbicidi, additivi alimentari e prodotti farmaceutici. Ha chiesto il divieto di coloranti e additivi alimentari, citando gli standard normativi europei. Ha promesso di rimuovere il fluoro, un minerale che combatte la carie, dall’acqua potabile degli Stati Uniti. Su X, ha accusato la Federal and Drug Administration di sopprimere l’uso di “psichedelici, peptidi, cellule staminali, latte crudo, terapie iperbariche, composti chelanti, ivermectina, idrossiclorochina, vitamine, cibi puliti, sole, esercizio fisico, nutraceutici e qualsiasi altra cosa che faccia progredire la salute umana e non possa essere brevettata”.