Alla fine di un’intervista rilasciata al Tirreno pochi mesi fa in occasione della festa degli 80 anni, rilanciata in queste ore dopo la morte avvenuta nell’ospedale della sua Piombino, dove era ricoverato in terapia intensiva per una polmonite bilaterale, Aldo Agroppi, una carriera da mediano spesa tra Torino, Genoa, Potenza, Ternana e Perugia, 5 presenze in Nazionale, raccontò: “Ho fatto la vita che volevo, dichiarando guerra ai servi e ai leccaculo. Non ho rimpianti”. “Cotenna”, come fu soprannominato per il suo istinto guerriero, è stato davvero un uomo controcorrente, con le sue debolezze – la depressione che lo fece fuggire da Padova dove allenò nella stagione 1983-84 -, i suoi amori – la moglie Nadia con la quale ha condiviso 58 anni e il Torino -, i suoi miti – Giorgio Ferrini, altro grande mediano della storia granata -, le sue antipatie – la Juve, Lippi, Italo Allodi -, i suoi rancori – la cessione al Perugia nell’estate 1975 – e le sue passioni – collezionista di diecimila dischi di musica anni Sessanta e Settanta -. Amava Mina (“la più bella voce del mondo”), Elvis Presley, Adriano Celentano, Domenico Modugno e Fred Buscaglione (“Guarda che luna è la canzone della mia vita”). Adorava Piombino: “Il mondo è pieno di posti fantastici, ma Piazza Bovio ce l’abbiamo solo noi: una terrazza protesa sul mare, che spazia su gran parte dell’Arcipelago toscano e nelle giornate limpide, arriva sino alla Corsica e Giannutri: per me è il Paradiso terrestre”, disse in quell’intervista al Tirreno.
Agroppi ha vissuto tre carriere. Quella da calciatore (esordio in serie A il 15 ottobre 1967 nel 4-2 contro la Sampdoria, la sera morì, falciato da un’auto, Gigi Meroni) fu nel segno del Torino: 212 presenze e 15 reti, le due Coppe Italia 196-68 e 1970-1971, la sfida alla Juventus, il “tremendismo” granata con l’allenatore Gustavo Giagnoni, otto stagioni memorabili. La coda fu il Perugia, in cui la sua esperienza fu determinante nell’esordio del club umbro in Serie A. Da tecnico, il miglior risultato fu la promozione in Serie A con il Pisa nel 1982. Sfiorata un altro salto di categoria con il Perugia nel 1985, fu chiamato dalla Fiorentina, che condusse al quarto posto nel 1987, nonostante le polemiche sull’utilizzo di Antognoni e una vigliacca aggressione subita da parte dei tifosi viola che lasciò segni sul suo viso. Dopo una condanna per omessa denuncia nel Totoscommesse-bis, seguirono Como (esonero), una retrocessione ad Ascoli e l’epilogo a Firenze (1992-1993), dopo un’annata disastrosa che portò alla caduta in Serie B. L’ultima avventura è stata da opinionista, con le critiche alla Juventus lippiana che, secondo la sua versione, gli costarono il posto alla Domenica Sportiva. La voce di Aldo Agroppi è stata diffusa anche dalle radio. In un’occasione, criticò Spalletti: “Vuole spiegare a Totti come giocare”. Si concesse anche un’avventura editoriale, con il libro “A gamba tesa – Frustate e qualche carezza”, pubblicato nel 2005.
Dalla sua casa in collina, con vista sul mare, Agroppi seguiva il calcio di oggi: “Un mondo profondamente cambiato. Quelli della mia generazione venivano dalla povertà, guadagnavano di meno e avevano carriere più brevi, ma si divertivano di più. C’era più spensieratezza. Oggi il calcio regala ricchezze enormi, ma molti giocatori non mi sembrano felici, rinchiusi in una bolla di solitudine e di finta amicizia sui social. In campo, troppi stranieri, anche sei settori giovanili, poi capisci perché non si producono più campioni e l’Italia ha mancato la qualificazione mondiale per due volte di fila. Negli stadi c’è violenza e c’è razzismo. Altro che Daspo: i razzisti vanno messi in galera. Il Torino sarà sempre una parte di me: quando lo sposi, ti leghi ai colori granata per sempre”. La vera bestia della sua vita è stata la depressione. Quando scappò da Padova, si parlò di esaurimento nervoso. Il concetto di depressione era ancora lontano dalla comprensione e dal lessico comune. “Aprivo la finestra e vedevo entrare la nebbia”. Agroppi voleva il cielo nella sua stanza, come cantava Gino Paoli negli anni Sessanta.