Massimo riserbo e “silenzio stampa“. La famiglia di Cecilia Sala, la giornalista del Foglio e di Chora Media arrestata in Iran e trattenuta nella prigione di Evin dal 19 dicembre scorso, lancia un appello affinché si abbassi l’attenzione sul caso della figlia per favorire le trattative diplomatiche tra Teheran, Roma e Washington e che riguardano anche la situazione di Mohammad Abedini Najafabadi, il 38enne iraniano arrestato a Malpensa con l’accusa di essere “l’ingegnere dei droni” della Repubblica Islamica. L’appello arriva il giorno dopo l’incontro tra i genitori della reporter e la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e nelle stesse ore del vertice tra l’ambasciatrice italiana in Iran, Paola Amadei, e il direttore per l’Europa del Ministero degli Esteri di Teheran. In contemporanea, sono in corso anche interlocuzioni tra il governo italiano e le autorità statunitensi per decidere come muoversi nelle trattative in corso con la Repubblica Islamica.
Sono passate 24 ore dal colloquio a Palazzo Chigi, avvenuto dopo le rivelazioni dei giornali sulle telefonate tra la giornalista e i suoi familiari che hanno fatto emergere le condizioni di detenzione alle quali è costretta la reporter. Condizioni che hanno smentito le rassicurazioni dei giorni precedenti del ministro degli Esteri, Antonio Tajani. I genitori hanno deciso di chiedere il silenzio stampa per evitare di complicare l’evoluzione della vicenda. “La fase a cui siamo arrivati – si legge nel messaggio – è molto delicata e la sensazione è che il grande dibattito mediatico su ciò che si può o si dovrebbe fare rischi di allungare i tempi e di rendere più complicata e lontana una soluzione. Per questo abbiamo deciso di astenerci da commenti e dichiarazioni e ci appelliamo agli organi di informazione chiedendo il silenzio stampa. Saremo grati per il senso di responsabilità che ognuno vorrà mostrare nell’evitare di divulgare notizie sensibili e delicate”.
Intanto Abedini ha avuto un nuovo colloquio con il suo avvocato Alfredo De Francesco e ha lanciato un messaggio che riguarda anche la giornalista italiana: “Pregherò per lei e per me“, ha detto al legale dopo avergli chiesto di scrivere su un foglio bianco il nome di Cecilia Sala per poter pregare per lei e per la sua liberazione. Che la sua vicenda sia strettamente legata con quella di Sala è stato ieri ufficializzato dall’Ambasciata iraniana in Italia: “Alla signora Sala sono state fornite tutte le agevolazioni necessarie e ci si aspetta dal governo italiano che, reciprocamente, acceleri la liberazione del cittadino iraniano Mohammad Abedini, detenuto nel carcere di Milano con false accuse”, ha fatto sapere l’ambasciatore Mohammad Reza Sabouri convocato alla Farnesina. La vicenda è sempre più complessa, ma rimane in campo la possibilità di un intervento del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, con l’appiglio sulla definizione dei Pasdaran: “organizzazione terroristica” per gli Usa, non per l’Italia.
La “reciprocità” della richiesta dall’Iran, in realtà, è tutt’altro che garantita da Teheran alla cronista italiana. Il trattamento carcerario dei due è totalmente differente. L’Iran da giorni continua ad assicurare che Cecilia Sala è trattata bene, ma la giornalista ha raccontato tutt’altro: è rinchiusa in una cella dove riesce appena a sdraiarsi, senza un materasso, costretta a dormire sul freddo pavimento della prigione con appena una coperta nonostante le rigide temperature invernali di Teheran. Nemmeno il pacco con beni di prima necessità inviato dalla famiglia, e che le autorità avevano dichiarato di averle consegnato, è mai arrivato tra le sue mani. Anzi, alla giornalista sono stati anche confiscati gli occhiali da vista e non le è possibile vedere nessuno, nemmeno le guardie che le passano il cibo dalla porta. Di contro, l’ingegnere iraniano esperto di droni ha già cambiato tre penitenziari ed è stato trasferito dal carcere di Rossano Calabro a quello di Opera, su richiesta del consolato iraniano. Oltre ad avere incontrato più volte il suo legale, tra le altre cose, può utilizzare un Ipad (ovviamente non connesso a internet) e può vedere i telegiornali.
Il suo legale ha anche già presentato richiesta per ottenere i domiciliari. La strada però appare in salita. La pg di Milano Francesca Nanni ha dato parere negativo alla richiesta con la messa a disposizione di un appartamento e il sostegno economico da parte del Consolato dell’Iran, oltre che eventuali divieti di espatrio e obbligo di firma per evitare qualsiasi fuga. Adesso si è in attesa che la Corte d’Appello fissi l’udienza per decidere su tale istanza.
La palla è in mano ai giudici, ma c’è sempre una seconda opzione. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, a cui tra l’altro spetta l’ultima parola pure sull’estradizione, può sempre fare richiesta di revoca dell’arresto e consentire il rientro a Teheran di Abedini Najafabadi che è accusato di far parte di un’associazione per delinquere e di aver fornito componenti tecnologiche montate sui droni in uso al Corpo dei Guardiani della Rivoluzione. Uno dei motivi della eventuale richiesta di rimessa in libertà potrebbe essere il fatto che in Italia i reati contestati hanno caratteristiche e presupposti diversi rispetto agli Usa. In particolare per quanto riguarda il Corpo dei Guardia della Rivoluzione: per gli Usa è un’organizzazione terroristica, ma non è inserita invece nella black list dell’Onu né in quella dell’Unione europea. In tutto questo continua il pressing degli Stati Uniti: negli scorsi giorni il Dipartimento di giustizia del Massachussets ha espresso ai giudici italiani parere negativo sull’ipotesi di scarcerazione di Abedini. Viene definito un soggetto “estremamente pericoloso” e il rischio di fuga è “molto elevato”.