Dagli insulti del leghista Angelucci al cronista del Fattoquotidiano.it, alla rissa alla Camera con i deputati che si azzuffano in Aula. Sono alcune delle scene da dimenticare che la politica italiana ci ha regalato nell’anno che si è appena concluso. 12 mesi in cui la premier Meloni e il suo vice Salvini hanno regalato anche episodi di comicità involontaria. La prima, a dispetto dell’autorevole look griffato Armani e delle trico-glamour Neptune waves, ha fatto la gioia dei fotografi sfoderando un inesauribile rosario di “faccette” da consumata caratterista di cinema casereccio: nei suoi scontri con la stampa (le poche volte in cui l’ha affrontata, e sempre con approccio cilioso), nei video-propaganda auto-referenziali e patriottardi (dove nella foga dialettica le è capitato di inciampare in gaffe grottesche), nei simposi internazionali (le smorfie di disappunto al vertice Nato sono da antologia), nei faccia a faccia con gli amministratori locali di centrosinistra (“Presidente De Luca, sono la stronza della Meloni”), nei numerosi fuorionda (“Regà, arzateve pure voi”, ammonì lo scorso 26 giugno ai suoi due vice, Tajani e Salvini, rimasti seduti mentre la premier ricordava Satnam Singh, il bracciante lasciato morire in provincia di Latina).

Giorgia Meloni dà sfogo alla sua romanità anche nei cerimoniali militari (come non dimenticare il suo piglio burbanzoso mentre con Crosetto sfila a bordo di una jeep dell’Esercito) e persino negli incontri coi big mondiali (hanno fatto il giro del mondo le sue buffissime espressioni con l’ex Primo ministro britannico Rishi Sunak e con il presidente francese Emmanuel Macron al G7 pugliese, al punto da diventare meme popolarissimi).

E il seguito sui social? È indubbiamente consistente, col piccolo dettaglio che su X, la magione virtuale di Elon Musk, la maggior fetta dei suoi fan è costituita da frotte di account indiani con tanto di spunta blu a pagamento che, a ogni contributo social della loro “idola”, commentano in pieno stile da chatbot basato sull’intelligenza artificiale. Indimenticabile, a riguardo, è stato il contributo di una fan meloniana di Jhansi, tal Anshika Yadav, che, rispondendo a un tweet di Meloni sugli scontri bolognesi tra manifestanti antifascisti e forze dell’ordine, ha sentenziato: “Sì, la frase “Diranno che è colpa della polizia” è diventata popolare grazie alla canzone “Camilla” dei Pinguini Tattici Nucleari. È una frase che riflette l’ironia e lo stile pungente del gruppo, spesso usato per evidenziare le scuse e le colpe attribuite agli altri piuttosto che prendersi le proprie responsabilità”.

Salvini, invece, in piena continuità col ben noto passato, è una fucina inesauribile di scivoloni: dal misterioso chiodo che, a suo dire, avrebbe bloccato i treni di mezza Italia all’inglese maccheronico che il leghista ha sfoggiato al G7 milanese dei trasporti, dalle locandine sulla presentazione del suo nuovo libro ai manifesti elettorali sui tappi delle bottiglie di plastica per le europee, dalla posizione ambigua sulle vittoria di Putin alle affermazioni imbarazzanti su Benjamin Netanyahu e sui suoi crimini, dalla fissa proibizionista sulle canne alla psicosi sul processo Open Arms fino all’ossessione per “i criminali comunisti e le zecche rosse dei centri sociali”. Su tutto, ovviamente, sovrasta l’immancabile propaganda per il ponte sullo Stretto.

L’unica novità nella comunicazione salviniana è la nenia “Peace and love”, che rifila in ogni occasione e che stona vistosamente coi suoi passati anatemi contro “i buonisti dei gessetti colorati”. Per il resto, tutto uguale, incluse le sue bozzettistiche dirette video con inquadrature degne del cinema dogmatico di Von Trier (epica quella del 7 dicembre dove il nostro non capisce la battuta di uno degli utenti interventi e dove in un angolo si intravede la compagna Francesca Verdini che ronfa sul divano letto).

Nel ricco calderone di gaffe governative meritano una menzione altri autorevoli comprimari, come il Guardiasigilli Carlo Nordio, che durante il comizio conclusivo della campagna elettorale di Fratelli d’Italia, avvicinato dalla giornalista di La7 Roberta Benvenuto, le ha chiesto di portargli uno spritz. Non da meno è Tommaso Foti, che ha preso il testimone del ministero degli Affari Europei dopo la nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente della Commissione europea con delega a Riforme e Coesione: già noto per un esilarante lapsus nel 2021 (“Siamo al suo fianco rispetto al buon esito della campagna vaginale“, disse alla Camera rivolgendosi a Mario Draghi), quest’anno ci ha deliziato col neologismo “paccottaglia”.

Infine, da citare sicuramente è la deputata tarantina di Fratelli d’Italia, Ylenja Lucaselli, già supporter di Michele Emiliano e del Pd, che è incorsa in errori da penna blu sia in trigonometria, accusando i 5 Stelle di faregiravolte a trecentosessanta gradi”, sia in italiano, confondendo i gulasch coi gulag.
Insomma, siamo a un déjà vu dei tempi passati, un calco di una vecchia foto di uno qualsiasi dei governi Berlusconi.

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