Adesso è ufficiale: al netto di ricorsi che sicuramente ci saranno, il Barcellona perde Dani Olmo per il resto della stagione. Come minimo, perché da contratto il calciatore sarebbe libero di svincolarsi a zero, arrecando un danno economico esiziale al club, che solo la scorsa estate lo aveva pagato quasi 60 milioni di euro. Uno scenario apocalittico che non ha fermato la Federazione e soprattutto la Liga spagnola, inflessibili nell’applicare le regole.
Da qualche anno la Liga del presidente Javier Tebas ha introdotto delle norme finanziarie interne molto rigide. Si basano sul concetto di “limite di costo della rosa sportiva”, in cui confluiscono tutte le spese sostenute (stipendi di calciatori e allenatore, ammortamenti dei cartellini, ecc.), e per cui ogni club propone un budget parametrato al fatturato, che deve essere approvato dagli organi di vigilanza della Liga e poi rispettato. La squadra più colpita è stata sicuramente il Barcellona (è la ragione per cui ad esempio saltò nel 2021 il rinnovo di Messi). Questo sia per l’enorme debito, sia soprattutto per il comportamento del presidente Laporta, che per le proprie ambizioni sportive ed elettorali mantiene un tenore di vita che il club non può più permettersi. Il Barcellona ha continuato a ingaggiare campioni attraverso espedienti finanziari di ogni tipo, vendendo pezzi del club o impegnando ricavi pluriennali (ad esempio aveva già ceduto il 25% dei diritti tv fino al 2047 al fondo Sixth), di fatto ipotecando il futuro del club che fra 10 anni si ritroverà in una crisi senza precedenti, ma questa è un’altra storia. Fin qui però la strategia aveva funzionato e il Barcellona era riuscito a camminare sul filo. Adesso quel filo si è spezzato per Dani Olmo.
In estate, nonostante i soliti problemi economici, il Barcellona ha acquistato dal Lipsia il fantasista e poi ha avuto problemi a tesserarlo perché non rientrava nel salary cap, tanto da saltare le prime giornate, fino a quando il grave infortunio di Christensen non ha liberato un po’ di spazio: così Dani Olmo è stato temporaneamente tesserato fino al 31 dicembre, poi la licenza avrebbe dovuto essere estesa. La situazione non è migliorata e alla fine i nodi sono venuti al pettine: prima di Capodanno il tribunale ha rigettato la misura cautelare del club, mentre i ricavi extra trovati da Laporta (che stavolta ha venduto a Spotify i diritti di una tribuna Vip che ancora non esiste) non sono arrivati in tempo. Il termine del 31 era perentorio ed è scaduto: la licenza non è stata rinnovata e le regole prevedono che non ne può essere concessa una nuova per lo stesso giocatore con lo stesso club. Per Liga e Federazione Dani Olmo è fuori.
Le conseguenze sono da esplorare, potenzialmente apocalittiche: ovviamente il club farà ricorso, sia alla giustizia sportiva che ordinaria. Intanto il giocatore starà fermo. Molto dipenderà proprio dalla sua volontà: da contratto, sarebbe libero di svincolarsi e accasarsi altrove, mentre il Barcellona dovrebbe pagare tutti i 60 milioni al Lipsia. Una tragedia. Un compromesso potrebbe essere il parcheggio in prestito per sei mesi in qualche club straniero (e chissà che l’occasione non possa riguardare anche un club di Serie A, difficile considerata la concorrenza). Comunque un danno incalcolabile per il Barcellona, che si sta giocando la Liga (terzo a -5 dal Real) ed è considerata tra le favorite per la Champions.
A prescindere da come finirà, la vicenda è da spunto per una riflessione su quanto vadano diversamente le cose tra l’Italia e la Spagna. Nella Liga, un manager serio come Tebas da anni conduce una lotta senza quartiere per risanare il campionato, mettendosi contro i due patron più potenti, Florentino Perez (per la Superlega) e Laporta (appunto per il salary cap). Le istituzioni spagnole, pur di far rispettare le regole, non hanno avuto timore nel colpire una delle squadre più rappresentative, con milioni di tifosi, per altro in una vicenda che coinvolge una stella della nazionale e sicuramente avrà ripercussioni negative sul sistema. Da noi invece ogni questione giudiziaria – dalle plusvalenze, al calcioscommesse fino alla criminalità in curva – diventa un caso politico, in cui parlano tutti, presidenti, ministri, parlamentari. La principale preoccupazione non è fare giustizia ma trovare un compromesso, conciliare gli interessi. Pensiamo allo scandalo Juventus, per esempio: concluso con la solita sentenza pilatesca (la penalizzazione escluse i bianconeri dalla Champions soltanto perché persero la partita decisiva, altrimenti si sarebbero qualificati), che non voleva scontentare nessuno e finì per scontentare tutti (la metà d’Italia juventina convinta di essere stata affossata, l’altra metà che il club più potente sia stato salvato ancora una volta). Ma vale per qualsiasi altro caso all’italiana. Dani Olmo dimostra invece che anche nel calcio le regole si possono scrivere, e poi far rispettare. Parafrasando una delle dichiarazioni più note ed infelici del nostro presidente Gravina: no, in Spagna la Liga e la Federazione “non tutelano il brand”.