Cosa Nostra

Omicidio di Piersanti Mattarella: “La Procura ha indagato i due presunti sicari, facevano parte di Cosa Nostra”

Per l'omicidio del fratello del capo dello Stato sono stati condannati i mandanti, ma non gli esecutori. Secondo quanto scrive Repubblica ora i pm hanno individuato i killer

Due sicari di Cosa Nostra che fecero parte del commando che uccise il presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, fratello del capo dello Stato, sono indagati nell’inchiesta condotta dalla Procura di Palermo dal 2018. A riportare la notizia è Repubblica. L’omicidio avvenne il 6 gennaio 1980 davanti all’abitazione di Mattarella, nel centro della città. Il […]

Hai già letto 5 articoli
questo mese.

PER CONTINUARE A LEGGERE

1 € PER IL PRIMO MESE

Due sicari di Cosa Nostra che fecero parte del commando che uccise il presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, fratello del capo dello Stato, sono indagati nell’inchiesta condotta dalla Procura di Palermo dal 2018. A riportare la notizia è Repubblica. L’omicidio avvenne il 6 gennaio 1980 davanti all’abitazione di Mattarella, nel centro della città. Il presidente di Regione fu assassinato a colpi di pistola mentre si trovava in auto con la moglie Irma Chiazzese. Chi fece fuoco, come noto, agì a volto scoperto.

Repubblica racconta che gli elementi emersi dall’indagine guidata dal procuratore Maurizio De Lucia e dalla procuratrice aggiunta Marzia Sabella avrebbero permesso di individuare i killer che entrarono in azione. Quest’ultima notizia non è stata al momento confermata dagli inquirenti all’agenzia Ansa. Nei mesi scorsi i magistrati avevano chiesto ad alcune testate giornalistiche, tra cui anche proprio l’Ansa, immagini fotografiche scattate sulla scena del delitto. In precedenza erano stati eseguiti anche nuovi accertamenti attraverso complesse comparazioni fra i reperti balistici. Uno dei reperti del primo processo celebrato a Palermo – la targa di un’auto del commando – sarebbe stata divisa in due dagli autori del furto e una parte fu poi ritrovata in un covo dell’organizzazione terroristica neofascista dei Nar.

Come mandanti dell’omicidio sono stati condannati all’ergastolo i boss della commissione di Cosa nostra, da Totò Riina a Michele Greco, con gli altri esponenti della cupola, da Bernardo Provenzano a Bernardo Brusca, Pippo Calò, Francesco Madonia e Antonino Geraci. L’inchiesta, però, non è riuscita a identificare né i sicari né i presunti mandanti esterni, che il giudice Giovanni Falcone pensava di aver individuato in Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, poi entrambi assolti per il caso ed entrambi condannati (il primo in via definitiva) per la strage di Bologna.

Nel luglio scorso i figli di Piersanti Mattarella avevano ricevuto una breve lettera anonima scritta al computer in cui l’autore indicava il presunto responsabile del delitto. “Cappuccio in testa, occhi color ghiaccio, passo ondeggiante, ballonzolante. Questa la descrizione del killer di Piersanti. C’è un ragazzo militante nero, ai tempi chiamato (…) per i suoi occhi di ghiaccio negli ambienti di destra. Si chiama (…) e corrisponde alla descrizione testuale e alle immagini. Assomiglia molto all’identikit. Dopo l’omicidio si trasferisce in (… )”. Sono state volutamente omessi – ora come allora – il nome indicato, il soprannome e anche il luogo citato dall’anonimo per consentire agli inquirenti di potere svolgere il proprio lavoro.

La pista dei giovani estremisti assoldati dalla mafia siciliana attraverso la Banda della Magliana era stata avvistata presto da Giovanni Falcone, che indagò Fioravanti per omicidio. Era stata confermata dalla moglie di Piersanti, Irma Chiazzese, che riconobbe in Fioravanti l’uomo “dagli occhi di ghiaccio” che si era avvicinato al finestrino della Fiat 132 guidata da Piersanti e lo aveva freddato. Una tesi che era stata ribadita dal pluriomicida di destra Angelo Izzo, il mostro del Circeo. Ma il vero rivelatore degli esecutori fascisti e primo accusatore del fratello Giusva fu Cristiano Fioravanti. A diversi pm, di Rovigo, Bologna, Firenze, Roma e Palermo, e in diversi interrogatori disse: “Mio fratello ha commesso un omicidio politico a Palermo, in presenza della moglie del politico, tra gennaio e marzo 1980”. Dettaglierà: “Mio fratello e Gilberto Cavallini hanno fatto quell’omicidio per ottenere favori per l’evasione di Concutelli dal carcere dell’Ucciardone”. Infine, liberandosi: “È stato Valerio a dirmi che avevano ucciso un politico siciliano…”. Salvo poi fare non confermarlo nelle successive fasi processuali.