La legge contro i maltrattamenti sugli animali approvata dalla Camera è – al momento – un’occasione persa. Fatto salvo il punto più strettamente di principio, che finalmente, con la modifica del Codice penale, sottolinea che l’obiettivo ora è la tutela degli animali in quanto tali e non più, come prima, il “sentimento per gli animali” da parte degli essere umani, sul resto ci sono molte più ombre che luci. Inizialmente la proposta di legge – così come le promesse dei parlamentari, anche di centrodestra – prevedeva pene più severe, ma i proclami originari sono stati traditi. Per chi maltratta o uccide gli animali le pene restano lievi, e il proscioglimento per “tenuità del fatto” resta sempre dietro l’angolo. Il Parlamento, poi, ha bocciato alcune circostanze aggravanti, come chi uccide l’animale del convivente con l’uso di armi da fuoco, o come l’uccisione per negligenza o trascuratezza, ma anche chi è responsabile del furto di animali d’affezione.
“È stata un’occasione mancata – ragiona Eleonora Evi, deputata del Pd, da sempre attiva sul fronte delle politiche per gli animali – si è voluto evitare di introdurre alcuni reati, come quelli che vanno a punire chi utilizza i cosiddetti bocconi avvelenati, o per esempio l’introduzione del divieto di tenere gli animali alla catena, cosa che già esiste in alcune regioni italiane. E poi manca del tutto la prevenzione e l’educazione sui minori. Per di più, la norma non mette un euro a servizio dei cittadini”. L’aspetto forse più grave riguarda la fauna selvatica. Nella prima formulazione della proposta di legge (prima firmataria Michela Vittoria Brambilla), infatti, era compresa. Ma la Lega l’ha fatta togliere. “Avevo presentato un emendamento per contrastare il traffico di animali selvatici, con la richiesta di aumentare le pene per rendere più efficaci le indagini di magistratura e forze dell’ordine – continua Evi – ma è stato bocciato. La destra ha voluto escludere la fauna selvatica, e il testo finale risulta essere lo stravolgimento di quello iniziale”. La palla ora passa al Senato, ma è difficile che qualcosa cambi.
Niente è stato fatto nemmeno per le corse coi cavalli e i palii. Anzi, se possibile, come denunciato dal presidente della Lav, Gianluca Felicetti, la situazione è decisamente peggiorata. “Il governo Meloni ha fatto scadere nel 2024 l’ordinanza Martini, lo strumento col quale potevamo esigere un minimo di tutela per cavalli e asini. L’ordinanza è sempre stata rinnovata, in attesa di una legge che Meloni avrebbe potuto colmare attraverso un dpcm. Ma ora è scaduta, e il governo non è intervenuto. Cosa accadrà? Dai palii più piccoli a quelli più famosi verranno meno le minime tutele stabilite dall’ordinanza Martini, la principale della quale è quella che obbliga a correre su un fondo morbido, e non su asfalto o sanpietrini. La materia è in mano al sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, che non ha mai voluto riceverci”.
Sul finire del 2024 Evi ha proposto un ordine del giorno alla legge di Bilancio, approvato all’unanimità dal Parlamento, “per chiedere al governo di introdurre un segno distintivo in etichetta per riconoscere se l’animale è stato allevato senza l’uso delle gabbie“. La deputata del Pd aveva poco prima proposto un emendamento, che è a differenza dell’ordine del giorno ha natura vincolante, ma l’emendamento è stato ritenuto inammissibile. Anche se “si tratta di un piccolo passo”, dice Evi, “questa misura serve non solo a orientare i consumatori ma anche a valorizzare la scelta di chi ha già abbandonato le gabbie e incentivare chi non l’ha fatto”. L’obiettivo è che gli stessi allevatori portino il governo “a occuparsi di ciò di cui ogni giorno si riempie la bocca, come ‘qualità’ e ‘benessere animale’, quando invece nei fatti continua a perpetrare e giustificare il modello intensivo”.