La peste suina africana è entrata in maniera prepotente negli allevamenti di Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna. Il governo, in un documento presentato a Bruxelles, ha confermato che lo scorso anno, in soli due mesi, sono stati abbattuti quasi 90mila maiali destinati alla produzione di carne e insaccati. Sulle uccisioni è intervenuta, attraverso un’interrogazione parlamentare ai ministri Lollobrigida e Orazio Schillaci, la deputata Evi, che ha chiesto conto di ciò che ha documentato il team di Food for Profit, ovvero l’uccisione procurata con l’elettrocuzione. Intanto, però, i focolai hanno continuato a correre. E lo hanno fatto a dispetto della strategia del governo – fin qui fallimentare – che ha previsto un piano di abbattimento dei cinghiali senza precedenti: 600mila capi in cinque anni, vale a dire la metà della popolazione presente in Italia. Ma qualcosa, evidentemente, non sta funzionando. Anche perché la popolazione di cinghiali, stando ai dati Ispra, non cala. E non fa niente se Lollobrigida ha previsto l’impiego di “177 unità del personale delle Forze armate”. Vale a dire, l’esercito.

Sempre Evi, intanto, ha presentato (cofirmataria Brambilla) un disegno di legge che mira a superare gli allevamenti intensivi attraverso “una transizione agro-ecologica della zootecnia”. L’obiettivo, in pratica, è frenare le dimensioni degli allevamenti per incentivare la diffusione dei più piccoli. Le grandi aziende agricole, infatti, ricevono circa l’80% dei fondi europei per l’agricoltura italiana (soldi che vanno anche alle attività dei Comuni fuori-legge per aver superato i limiti di azoto). I 700 milioni di animali allevati in Italia ogni anno necessitano di un enorme uso di risorse (circa due terzi dei cereali venduti in Ue diventano mangime e circa il 70% dei terreni agricoli è destinato all’alimentazione animale). Il comparto, inoltre, è responsabile di oltre due terzi delle emissioni nazionali di ammoniaca.

Ma il disegno di legge è fermo in commissione Agricoltura, e non ci sono segnali che facciano sperare che venga presto calendarizzato. “Torneremo alla carica a partire dall’inizio dell’anno – promette Evi – al momento con le associazioni stiamo facendo un lavoro dal basso per mobilitare i Consigli comunali, proponendo di presentare e approvare mozioni sul tema per poi chiedere l’approvazione della legge nazionale”. I Comuni a cui ci si sta rivolgendo sono quelli maggiormente esposti all’inquinamento derivante dagli allevamenti intensivi e più coinvolti dagli effetti sulla salute umana. In particolare, dunque, le aree della Pianura Padana. Il Fatto Quotidiano ha realizzato un’inchiesta proprio sugli allevamenti intensivi della Lombardia.

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