La sala cinematografica è mia e me la gestisco io. L’addio ad Antonio Sancassani, morto alcuni giorni fa ad 82 anni, parte da qui. Da un assunto unico e mai ripetuto di ribellione singolare e commerciale al cul de sac dell’industria del cinema italiano. Nel suo cinema Mexico, nella sua sala milanese di via Savona rilevata nel 1975 e poi nel tempo acquistata compresi muri e poltroncine, Sancassani ha proiettato i film che voleva lui. Chi non conosce il settore non capirà mai la portata dell’irripetibile vita di una monosala italiana e del suo proprietario factotum. “Se il tuo film non fa parte di un gruppo di produzione/distribuzione nessuno te lo programma, perché l’esercente è legato per contratto alla programmazione che non prevede quel film”, spiegava il proprietario del Mexico nel documentario “Mexico! Un cinema alla riscossa” che Michele Rho gli aveva dedicato nel 2017.
Il listino bloccato di titoli – anche quelli d’essai – da proiettare in una sala è blindato da oramai oltre trent’anni in partenza dai distributori che spesso sono anche produttori, e talvolta perfino proprietari di sale, dinamica presente anche tra i cosiddetti indipendenti. L’esercente quindi comprava e compra un menù già preconfezionato e nulla può su cosa avere in sala. Sancassani, invece, tra i Navigli sempre più zeppi di spazi per l’alta moda, con Dolce&Gabbana a chiedergli di rilevare il Mexico, ha tirato dritto scegliendosi sempre lui i film. Bastava telefonargli. Ci si accordava, gli si mandava un dvd o un link e lui decideva quando toccava a te. Se andava bene ti facevi almeno due settimane di prima visione, se andava “male”, almeno fino a qualche anno fa, c’era comunque la finestra di recupero del lunedì. Insomma, nessuna carità a fini culturali o attesa col cappello per le sovvenzioni di stato.
Sancassani e il suo Mexico facevano cassa. Magari Antonio, tutto intraprendenza lumbard e scintilla artistica, concreto padrun e amabile conoscitore del cinema e del mondo, non era un nababbo ma con la sua pervicace intuizione ci campava degnamente, da uomo libero e imprenditore indipendente sul serio. Da non milanese, lo andai a trovare la prima volta nel 2007. Erano i mesi dell’exploit con Il vento fa il suo giro, l’opera prima di Giorgio Diritti rifiutata da produttori, distributori ed esercenti. “Ricevetti una telefonata da Signorelli della Lab80 che mi segnalava il film che aveva vinto al festival di Bergamo un anno prima, ma dopo averlo fatto vedere agli esercenti e alla distribuzione canonica non era stato voluto: non aveva i finanziamenti dal ministero quindi nemmeno la quota coperta per la distribuzione”, mi spiegò all’epoca Sancassani.
“Mi hanno dato il dvd, me lo sono visto, mi sembrava un’opera prima interessante e in una settimana l’ho proiettato. Mai avrei pensato ad un successo del genere: 150 biglietti la prima sera, 300 la seconda poi è partito il passaparola e siamo ancora qui a proiettarlo”. In soldoni: il piccolo film di Diritti rimase in cartellone al Mexico per oltre un anno, oltre 50mila presenze registrate tanto che leggenda vuole che nell’atrio del cinema i compositori el film, Biscarini e Furlati vendettero più di 500 cd della colonna sonora del film. “Una monosala come la mia non può aspettare che la distribuzione d’essai molli un film già “cotto”, non farei un euro e dovrei chiudere. Allora ho aperto la strada ai giovani registi italiani”, spiegava nel 2007.
“Loro mi portano direttamente le copie dei loro film e l’esperimento funziona. In qualche modo il Mexico assume anche un valore culturale di sprono per uscire la sera e non rimanere imbambolati davanti alla tv o rincorrere i posti numerati nelle multisale”. Eccolo lo “scouting” indefesso di Sancassani, ma anche le scommesse per i già noti ma ostici autori come quando fa rimanere cinque mesi in cartellone, ricavando bei soldini, Singolarità di una ragazza bionda di Manoel de Oliveira. Sancassani si era poi inventato, esclusivamente ogni venerdì sera fin dagli anni ottanta, la serata dedicata al Rocky Horror Picture Show. Il musical di Jim Sharman è stato proiettato per anni al Mexico con riproposizione dal vivo di diverse sequenze (Claudio Bisio esordì saltando e ballando i brani di Richard O’Brien proprio lì ndr), tanto che la 20th Century Fox gli regalò il permesso di stampare una copia in pellicola esclusiva in dolby che è rimasta montata su enormi rulli in cabina di proiezione per anni.
Uomo tutto d’un pezzo il Sancassani. Uno che ti telefonava dandoti amabilmente del lei per ringraziarti di un articolo o per dirti con franchezza se avevi scritto una boiata. Una ventina di anni fa gli avevano asportato pure mezzo stomaco, ma Antonio era sempre fisicamente lì in via Savona tra cassa, popcorn e cabina di proiezione. “Ho accumulato quattro palanche per vivere tutti i giorni, ma vendere tutto e andare in riviera a contare i gabbiani non ne ho voglia”, rispondeva al regista del documentario che l’8 gennaio alle 20.30 verrà ri-proiettato proprio al Mexico per celebrare l’epopea di un uomo e del suo cinema. Samurai e kamikaze allo stesso tempo, Antonio si era come arroccato nella sua accogliente sala anche perché il cinema lo amava davvero. Quel cinema che seguiva con passione fin da bimbo e che voleva diventasse la sua fonte di sopravvivenza professionale. “La cosa più bella della vita è entrare in sala al buio e vedersi un film nel proprio cinema”, raccontava spesso con quella faccia da moschettiere di Dumas (o Lester?) nell’infilzare un nuovo successo indipendente. “C’è un sogno che faccio spesso da quando la salute mi ha lasciato qualche problemino: ritrovarmi bambino e vedere un film in sala con il mio papà, che faceva il contadino e rimase a bocca aperta di fronte a quello che ero riuscito a fare con la mia sala cinematografica”.