Quando Riss esce appoggiato a un pompiere da quella che hanno chiamato la “stanza dei morti”, è circa mezzogiorno del 7 gennaio 2015. Il disegnatore è uno dei pochi sopravvissuti alla strage dei fratelli Kouachi nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo. In piedi, trascinato fuori mentre è ricoperto di sangue, riesce solo a dire: “Sapevo che prima o poi sarebbe successo”. È uno dei giorni che hanno cambiato per sempre la Francia e a rimettere in fila quegli istanti è Fabrice Nicolino, anche lui uscito vivo dal massacro. Lo fa a distanza di dieci anni, in un articolo sul settimanale online, che ricostruisce i fatti con la precisione metodica di chi non dimenticherà mai quello che ha visto: la mattina uguale a tante altre di ritorno dalle feste, la riunione e le discussioni, la gente che entra e ed esce dagli uffici. Le risate e le discussioni. Poi, in pochi minuti, il tracollo: Coco intercettata sulle scale e costretta ad aprire la porta ai terroristi. Prima gli spari, quindi la fuga. E Riss, ora direttore del settimanale, intrappolato in una maglia grondante di sangue che esce scavalcando i cadaveri. Una collega corre a cercare le sue forbici per togliergli i vestiti sporchi. Non le trova e grida: “Chi me le ha rubate di nuovo”. Una storia, scrive Nicolino, così “abonabilmente triste e a volte divertente che non sappiamo più perché piangiamo“. Nei dettagli di quei minuti c’è tutta la normalità di un giorno qualunque, travolto dal terrorismo che ha espugnato la Francia colpendola in due dei suoi pilastri più importanti: la libertà di espressione e la laicità. Da quel giorno, niente è stato più lo stesso: prima gli oltre tre milioni di persone nelle piazze che gridano “je suis Charlie” e poi la morte che, solo a novembre 2015, tornerà a straziare il Paese con gli attentati del Bataclan e lo Stade de France. Una scia di dolore continuata a Nizza e arrivata fino all’attentato nel liceo di Arras del 2023. E che dieci anni dopo però, trova una opinione pubblica stanca: “Quanti di noi scenderebbero oggi in piazza per difendere la libertà di satira?”, denuncia l’associazione di vignettisti Cartooning for peace.

L’attentato nella redazione di Charlie Hebdo – Ore 10.19 del 7 gennaio 2015, Chérif Kouachi invia l’ultimo messaggio dal suo telefono e probabilmente quello che lancia l’attacco. Passa meno di un’ora e, insieme al fratello Said, i due hanno 32 e 34 anni, parcheggia la macchina nell’11esimo arrondissement di Parigi, a meno di un km dalla Bastiglia e a pochi metri da rue Nicolas-Appert. Entrano nel primo immobile, sparano in aria, chiedono “dov’è Charlie” e uno dei due, uscendo, dice: “Ci manda Al-Qaeda, in Yemen”. Poi trovano la sede, al numero 10, e fanno la prima vittima: il tecnico Frédéric Boisseau. Salgono le scale e incontrano la disegnatrice Corinne Rey detta Coco: sta uscendo per andare a prendere la figlia a scuola e, solo per puro caso, non ha preso l’ascensore. A lei gridano: “Portaci da Charb“, ovvero Stéphane Charbonnier, allora direttore di Charlie Hebdo. Prima sbaglia piano e poi, arrivati a quello giusto, viene costretta a digitare il codice che apre la porta della redazione. È l’inizio della strage. In poco più di due minuti, vengono trucidati: Charb e il suo agente di scorta Franck Brinsonaro, i disegnatori Georges Wolinsky, Philippe Honoré, Jean Cabut (Cabu), Beranrd Verlhac (Tignus), la psichiatra Elsa Cayat, l’economista Bernard Maris, il lettore Michel Renaud e il correttore di bozze Mustapha Ourrad. Tempo pochi minuti e inizia la fuga dei due fratelli: poco distante dalla redazione incontrano un’auto della polizia e uccidono Ahmed Merabet, uno degli agenti. I due saranno poi rintracciati il 9 gennaio, in una tipografia a 45km da Parigi dove si erano rifugiati, e uccisi durante un’irruzione. Intanto, l’8 gennaio, il terrorista Amedy Coulibaly spara contro una pattuglia nel sud della Capitale e uccide un’agente. Poco dopo prende in ostaggio 17 persone nel supermercato kosher a Porte de Vincennes, a Sud di Parigi, e chiede la liberazione dei fratelli Kouachi: uccide quattro persone ebree prima di essere ammazzato dalla polizia in un’irruzione. I terroristi si conoscevano, ma ancora non stato chiarito il legame tra i due attacchi.

“L’11 settembre della Francia” – Lo choc è stato ed è enorme. Fanno paura le morti, i terroristi nel cuore dell’Europa, ma soprattutto la scelta di colpire la redazione di un giornale. E l’averlo fatto mettendo in discussione uno dei pilastri della Francia: la laicità e la possibilità di ridere anche sulle religioni. Non era la prima volta che Charlie Hebdo finiva nel mirino: una delle prime volte fu nel 2006, quando vennero travolti dalle polemiche per una serie di caricature di Maometto; nel 2011 la redazione venne distrutta da un incendio provocato da un lancio di molotov nel giorno in cui doveva uscire il numero speciale sulla vittoria degli islamisti in Tunisia. Dopo la strage, il giornale non ha mai smesso di uscire: solo il mercoledì dopo, hanno pubblicato in prima pagina un Maometto che piange e la scritta “tutto è perdonato” (copia che venne distribuita in Italia dal Fatto quotidiano). Ci furono tante reazioni e la più grande fu quella di piazza: domenica 11 gennaio le strade di Parigi strabordarono di gente che gridava “io sono Charlie”. In prima fila i politici che si tenevano la mano, compatti contro odio e violenza. I cortei intonavano la Marsigliese. Quell’attentato “è stato l’11 settembre della Francia”, scrive oggi le Monde nell’editoriale dedicato all’anniversario. Un evento così grosso come solo l’attacco alle Torri Gemelle per gli Stati Uniti: tutti i francesi ricordano dov’erano quel giorno, la paura e il senso di impotenza. Ma soprattutto, ricordano che fu l’inizio di un tempo nuovo, segnato dal terrore dei rumori improvvisi nelle metropolitane e l’incubo che gli attacchi possano avvenire quando meno te lo aspetti.

Che fine ha fatto “je suis Charlie” – L’onda di solidarietà però, il senso di popolo unito che si batte contro i fanatismi, è durato molto poco. Gli attentati del Bataclan e dello Stadio di Francia, avvenuti soli dieci mesi dopo, non hanno aiutato: la paura ha preso il posto della voglia di battersi contro nemici comuni, perché all’improvviso, quei nemici, sono spuntati in casa. L’imbarazzo della politica di fronte a un’epoca unica e, per molti versi, inedita, ha fatto il resto: l’estrema destra che cavalca le spinte contro l’immigrazione, la sinistra che non riesce a scegliere un campo tra islamofobia e difesa delle seconde generazioni. Leader e partiti disorientati hanno così contribuito a far scendere una cappa di solitudine su un giornale e i suoi giornalisti che mai, forse, erano stati così soli. Da quel 7 gennaio di dieci anni fa, la domanda che si fa più spesso è “che fine a fatto lo spirito di ‘je suis Charlie'”: una delle più grandi sconfitte è il non aver saputo preservare quell’unione di intenti e di essersi spaccati in diverse fazioni. Si voleva andare solo avanti, dimenticare e ripartire, ma il mondo che ricorda la strage di passi ne ha fatti ben pochi. Scrive l’associazione Cartooning For Peace, network che unisce e difende i disegnatori di tutto il mondo e di cui era ambasciatore anche la vittima Tignus: “Quanti di noi oggi scenderebbero in piazza per difendere il diritto alla satira e alla blasfemia di fronte a censori ed estremisti di ogni genere? È difficile dirlo, se non fosse che la libertà di stampa sembra essere in declino in tutto il mondo”. Le parole accompagnano un libro speciale dal titolo “Tenir la ligne” (letteralmente “tenere la linea”) e che raccoglie vignette in difesa di quella possibilità di esprimersi che ci riguarda tutti, dall’Iran all’Europa. “Metà della popolazione mondiale vive sotto un regime dittatoriale, religioso o di altro tipo, dove la satira è vietata o limitata”, spiegano. “È più che mai necessario difendere il diritto dei vignettisti, troppo spesso minacciati, di prendere in giro gli altri, di provocare il pensiero e di alimentare il pensiero critico. La democrazia dipende da questo”. Un allarme, più che un appello. Perché se il titolo del numero speciale del giornale francese è “non hanno ucciso Charlie Hebdo”, il timore è che abbiano ucciso la voglia di battersi per la libertà d’espressione.

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