di Leandra D’Antone*

Davvero “non serve”, come sostiene l’eccellente economista Gianfranco Viesti, il Ponte sullo Stretto, giunto per la seconda volta in 13 anni alla fase realizzativa, interrotta già nel 2012 dal governo Monti per decisione politica e non per motivi tecnici? Secondo quale idea di utilità non servirebbe?

Da storica ho dedicato negli ultimi 25 anni parte delle mie ricerche alle grandi opere di collegamento tra territori, nazioni e continenti, fra cui il collegamento stabile tra le due coste della Sicilia e della Calabria distanti poco più di tre chilometri, constatando come proprio come l“utilità” di questo collegamento sia stata riconosciuta nell’intero arco della storia italiana: sin dal momento dell’Unificazione, avendo assunto la costruzione della rete ferroviaria valore “costituente” nella stessa formazione della nuova nazione e della cittadinanza italiana. Ho constatato come, seguendo una concezione intermodale e intercontinentale della mobilità e dei movimenti di persone e merci, sia lo Stato che prestigiose istituzioni scientifiche nazionali – nel caso in specie il Ministero dei Lavori pubblici e il Politecnico di Torino – sin dagli anni Sessanta dell’Ottocento abbiano studiato sia il progetto sia di un ponte che di una galleria subacquea fra la Sicilia e la Calabria.

Il collegamento dunque serviva già, essendo pienamente in atto il primo grande ciclo della globalizzazione, sebbene tecnologie disponibili allora lo rivelassero inattuabile.

Tuttavia, crescendo sempre di più in seguito proprio la consapevolezza dell’utilità del collegamento in relazione al progresso delle tecniche e alle esigenze di relazioni tra territori, nazioni e continenti, gli studi non smisero mai di andare avanti. Non si fermarono nemmeno dopo il devastante sisma-maremoto del 1908 con epicentro proprio lo Stretto di Messina, sisma catastrofico a partire dal quale gli scienziati potenziarono la ricerca scientifica sull’area, sulle sue caratteristiche geologiche, sismiche, marine, climatiche.

Dal secondo dopoguerra l’idea di utilità del collegamento stabile nello Stretto di Messina, grazie allo sviluppo delle tecnologie e delle realizzazioni statunitensi di ponti in acciaio, non solo prese la massima consistenza, ma divenne diffuso e condiviso auspicio; il collegamento fu riconosciuto di interesse regionale, nazionale, europeo e sostenuto dalla grandissima parte delle istituzioni locali e nazionali, delle grandi e piccole imprese nazionali e locali, degli scienziati, tutti in azione in quella straordinaria sinergia che caratterizzò la ricostruzione e il prorompente sviluppo economico dell’Italia in tutte le sue regioni fino agli anni Sessanta. Non solo dunque venne ritenuto utile, ma divenne proposito concreto e urgente entrando a pieno titolo nei programmi dei comuni direttamente interessati, Reggio Calabria e Messina, delle regioni direttamente interessate, la Calabria e la Sicilia, dalle maggiori imprese nazionali, dello Stato italiano, della più importante istituzione meridionalista del tempo e tra i protagonisti della ricostruzione e del miracolo economico, la Svimez.

Dal 1955 la Società Gruppo Ponte di Messina SpA (Finsider, Fiat, Italcementi, Pirelli, Italstrade) mobilitò i migliori scienziati del mondo per studiare l’area e tutte le alternative possibili: diverse tipologie di ponti (sospeso o a campate), galleria sottomarina, tubo flottante. Nel 1969 Anas e Ferrovie dello Stato emisero un bando di gara internazionale ricevendo 143 progetti che approfondirono le diverse soluzioni possibili, sollecitando e ottenendo l’interesse della Comunità europea.

Dal 1971, anno della decisione di costituire la Società Stretto di Messina, nata nel 1981 col 51% di quota Iri e per il resto soci con pari quote Anas, FS, Regione Calabria e Regione Sicilia, proprio in ragione delle difficoltà geofisiche complesse dell’area e della necessità di garantire la soluzione tecnica migliore e più sicura, gli studi si intensificarono impegnando i più prestigiosi scienziati del mondo, primo fra tutti l’ingegnere strutturista William Brown, autore del progetto definitivo del Ponte sospeso a campata unica.

Quest’ultima soluzione, disponibile come progetto di massima dal 1992, è oggi alle soglie della realizzazione dopo il confronto tra tutte le diverse alternative possibili; ha superato nella forma di progetto esecutivo ripetute verifiche e studi di fattibilità e di impatto tecnico, trasportistico, ambientale, economico-sociale, e tutti i passaggi istituzionali necessari alla realizzazione (inclusa recentemente l’approvazione della Valutazione di impatto ambientale e nell’imminenza della finale ratifica del Cipess).

Non è dunque il frutto di decisioni fantasiose o “bluff” scientifici, ma dell’impegno della migliore cultura ingegneristica e scientifica mondiale, selezionata per gare internazionali, come per gara internazionale sono stati selezionati i soggetti ingegneristici e imprenditoriali realizzatori. Nella fase attuale, che il ponte serva e a cosa, ha trovato più forte conferma in sede istituzionale nazionale ed europea: negli anni più recenti l’Ue non ha fatto che sollecitare all’Italia la realizzazione, in quanto opera coerente con le necessità del sistema di rete intermodale continentale (Transeuropean TEN-T) fondato su grandi corridoi compiuti da Nord a Sud come da Est a Ovest, e, riguardo ai trasporti terrestri, finalizzato al massimo sviluppo dell’Alta velocità ferroviaria (in Italia realizzata finora solo nelle sue regioni centro-settentrionali fino a Napoli, avendo escluso dunque il Sud di cui la Sicilia con circa 5 milioni di abitanti è parte strategica).

Dalla crisi finanziaria del 2008-2011 con ripercussioni più gravi al Sud, agli sconvolgimenti economici e geopolitici dovuti al Covid e alle guerre in Ucraina e in Medio Oriente, non c’è documento e iniziativa dell’Unione che non abbia indicato il Sud dell’Unione e il Mediterraneo come zona strategica per la ripresa economica, per le nuove necessità energetiche e demografiche, dal Recovery Fund, al Rapporto Draghi per la commissione Ue sul futuro della competitività europea, mettendo a disposizione per il nostro Pnrr maggiori risorse di proprio per le reti digitali, energetiche e trasportistiche.

Lo scorso giugno il Consiglio europeo ha confermato il Ponte quale opera fondamentale del corridoio scandinavo-mediterraneo; quindi la Commissione Europea ne ha finanziato la progettazione esecutiva con 25 milioni di euro, ottenendo nell’ambito del bando Connecting Europe aperto a tutti i paesi membri, il massimo punteggio su tutti i criteri selettivi indicati dalla Commissione europea.

L’utilità del Ponte è peraltro dimostrata anche dalla sua presenza nei programmi di governi di vari orientamenti, così come è evidente che l’opposizione alla realizzazione abbia seguito e continui a seguire logiche esclusivamente politico-partitiche. E’ accaduto ai tempi del primo governo Prodi che attivò nel 1996 le procedure necessarie alla realizzazione del progetto del Ponte a campata unica nell’ambito della realizzazione del programma TEN-T di corridoi intermodali transeuropei, durante i governi di Berlusconi, e continua ad accadere col governo in carica. Nel 2003 il Ponte figurava tra le opere prioritarie nella Short List del Commissario Van Miert. Oggi è tornato ad essere opera fondamentale in una Unione a grave rischio di sopravvivenza (Rapporto Draghi e Rapporto Letta), essendo in crisi gli Stati del Nord finora più forti, la Francia e la Germania, ma più promettenti proprio quelli che come l’Italia, con il suo Sud e la sua Sicilia, insistono sul Mediterraneo.

Nel “quasi Oceano” (su cui da tempo insiste il Presidente della Svimez Adriano Giannola), in cui la Sicilia non è un’isola (come ha sottolineato Fabrizio Maronta di Limes nel Quaderno dedicato al Ponte di Messina, n 2, 2023 di Fondazione PER) e il ponte sullo Stretto non è lungo solo 3,3 km ma è parte di una rete continentale vitale per l’Europa e non solo per il Sud. Peraltro di esso Ponte non ha potuto negare l’utilità nemmeno il Comitato tecnico del Mit del governo Conte giallo-rosso che, in assenza di almeno ingegnere strutturista, ha rimesso a confronto la campata unica, le due campate e la galleria sottomarina – inutilmente visto che si trattava di soluzioni già analizzate e già scartate per reali difficoltà geofisiche.

In conclusione il Ponte serve e la sua tecnologia non è un bluff, fa da modello ad altri ponti ad alta tecnologia del mondo anche recentemente realizzati o in fase di progettazione. Per formare le opinioni dei non addetti ai lavori è doveroso documentarsi sul progetto, lasciar parlare i tecnici migliori, soprattutto gli ingegneri strutturisti e i geologi selezionati nella comunità scientifica internazionale con criteri di merito, e non quelli improvvisati, qualcuno pure con la laurea ma attratto dalla partigianeria ideologica o da interessi professionali.

Per una visione coerentemente europeista, meridionalista e informata alla coesione sociale, è doveroso soprattutto che gli studiosi e gli intellettuali non addetti ai lavori lascino cadere le strumentalizzazioni ideologiche o le visioni riduttivamente localistiche dello sviluppo, secondo le quali i 13,5 miliardi ormai raggiunti dal costo di un ponte che fa parte essenziale dell’Alta velocità ferroviaria da Napoli alla Sicilia inclusa (infrastrutture in corso di realizzazione ma la cui caratteristiche finali dipenderanno proprio dall’esistenza o meno del collegamento stabile) sarebbero troppi, ma non vengono messi a confronto con gli assai più elevati costi dell’alta velocità ferroviaria già realizzata in passato in tutto il Centro Nord escludendo il Sud – oltre 100 miliardi – e dagli altrettanto elevati costi degli attuali investimenti in corso per l’alta velocità ferroviaria e altre opere infrastrutturali nel resto del Paese (soprattutto su fondi Pnrr) e nello stesso Sud.

Davvero ci possiamo permettere di considerare inutile il Ponte perché anche se realizzato insieme all’alta velocità ferroviaria potrebbe dare vantaggi solo fino a Roma, visto che al Nord si andrebbe comunque con l’aereo? Anche da Roma a Berlino si prende l’aereo ma l’alta velocità ferroviaria c’è.

Aggiungo: per una visione coerentemente democratica è doveroso abbandonare quella ostilità all’innovazione e alla modernità che la sinistra (soprattutto i suoi leader e i suoi intellettuali) ha abbracciato in funzione delle alleanze occasionali e di un ambientalismo antiscientifico, cambiandone uno dei più propulsivi caratteri identitari originari: la fiducia nel progresso ai fini della solidità della democrazia e della coesione sociale. Davvero, Gianfranco, pensi che la sinistra italiana e il Mezzogiorno rinasceranno dalle centinaia e centinaia di incontri che Conte e la Schlein dovrebbero fare con i cittadini della Sicilia e della Calabria per impedire la realizzazione di un Ponte ferroviario e stradale e intercettare i loro veri bisogni? Tu, autore di tanti straordinari studi di visone internazionale, come l’ultimo, edito da Laterza nel 2021, Centri e periferie. Europa, Italia, Mezzogiorno dal XX al XXI secolo?

* Docente Senior di Storia Contemporanea Università di Roma La Sapienza

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