Era il primo caso grave d’influenza aviaria in un essere umano rilevato negli Stati Uniti: è morto il paziente di 65 anni ricoverato in un ospedale della Louisiana in condizioni critiche. Come ricostruito nei giorni scorsi dai Centers for disease control and prevention (Cdc) statunitensi, si trattava del sessantunesimo caso di contagio umano con il virus H5n1 individuato negli Stati Uniti, da aprile 2024. Ma negli Usa, dall’inizio del 2024 e fino al 6 gennaio 2025, i casi registrati sono stati 66. Per la maggior parte si tratta, però, di lavoratori agricoli e di un ceppo diverso di influenza aviaria. Sono sedici, d’altronde, gli Stati che, nel frattempo, hanno segnalato focolai di influenza aviaria nelle mucche da latte.

Il paziente morto in Louisiana, però, avevano fatto sapere le autorità sanitarie il 13 dicembre, era stato contagiato da un altro ceppo e, inoltre, era affetto da altre patologie. Tutte le altre persone infettate, di fatto, hanno riportato sintomi più lievi. Tutto avviene a pochi giorni dall’annuncio dell’amministrazione Biden su uno stanziamento di 306 milioni di dollari per la risposta all’H5N1, in particolare per programmi di sorveglianza epidemiologica e ricerca in laboratorio. Ma non mancano preoccupazioni in merito all’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, che potrebbe peggiorare una gestione del rischio già fin qui non brillante da parte degli Stati Uniti. Nel frattempo, in Italia, gli esperti invitano a non creare allarmismi, ma a tenere alta la guardia. “Per fortuna non c’è stato ancora un caso di trasmissione interumana, ma prima o poi arriverà. Questo nuovo anno rischia di essere quell’aviaria” ha commentato all’Adnkronos Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive dell’ospedale policlinico San Martino di Genova.

Morto il paziente ricoverato in Louisiana, unico caso di contagio umano nello Stato – Il paziente ha contratto l’H5N1 dopo l’esposizione sia a uno stormo di uccelli da cortile non commerciale, sia di uccelli selvatici. E, spiegano le autorità, resta l’unico caso umano di H5N1 in Louisiana. Era stato ricoverato a metà dicembre a causa di gravi sintomi respiratori. Il Dipartimento della Salute della Louisiana conferma in una nota che il rischio per la salute pubblica resta basso, ma anche che “le persone che lavorano con uccelli, pollame o mucche, o che sono esposte a tali animali per motivi ricreativi, corrono un rischio maggiore”. E invita a “evitare le fonti di esposizione”, quindi, “il contatto diretto con uccelli selvatici e altri animali infetti o sospettati di essere infetti dai virus dell’influenza aviaria”. “Anche se tragico – hanno dichiarato i Cdc – un decesso per influenza aviaria H5N1 negli Stati Uniti non è inaspettato, dato che è risaputo che infezioni con questi virus possono causare gravi malattie e morte”.

La diffusione, il ceppo e le mutazioni del virus – Ma, sebbene negli Stati Uniti solo per due persone infette non sia stata ricostruita la causa dell’esposizione, ossia un paziente ricoverato in Missouri e un bambino con lievi sintomi in California, più si diffonde il virus tra gli animali, più aumentano i rischi di esposizione per gli esseri umani. I campioni prelevati dal paziente morto in Louisiana forniscono comunque indizi importanti. Il sequenziamento genetico ha determinato che è stato contagiato dal ceppo D1.1 del virus, correlato ad altri virus D1.1 recentemente rilevati in uccelli selvatici e pollame negli Stati Uniti e in altri casi umani nella Columbia Britannica, in Canada e nello stato di Washington. Questo ceppo D1.1 dell’influenza aviaria H5N1 è diverso dal genotipo B3.13, che ha alimentato l’epidemia tra oltre 600 aziende agricole negli Stati Uniti. La maggior parte dei casi umani riscontrati, però, riguarda lavoratori che hanno contratto proprio il ceppo B3.13, lavorando a contatto con bovini e altri animali infetti. Nessuno di questi, però, è stato ricoverato in ospedale o è morto a causa del virus. Il virus del paziente presentava alcune mutazioni, cambiamenti genetici che si sono probabilmente verificati in seguito all’infezione della persona e non riscontrati negli animali che sospettati di averla infettata. Come spiegato dai centri di controllo e prevenzione, ancora più allarmante sarebbe stato riscontrare le alterazioni “negli ospiti animali o nelle fasi iniziali dell’infezione”.

Cosa ne pensano gli esperti italiani – Per Giovanni Rezza, professore di igiene e sanità pubblica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, già dirigente dell’Istituto superiore di Sanità “le persone non devono allarmarsi” in assenza di elementi scientifici che indichino un cambiamento del quadro epidemiologico per l’influenza aviaria H5N1”, sottolineando che il decesso in Louisiana è stato causato da “un contagio da volatile a uomo, molto frequente, e non da mammifero a uomo”. Il passaggio di specie da uccelli a bovini degli ultimi anni “ha fatto innalzare il livello di attenzione – ha spiegato all’Ansa – per via del fatto che l’uomo è molto più frequentemente a contatto con questi ultimi, rispetto agli uccelli selvatici”. Le istituzioni sanitarie, però, “devono chiaramente mantenere alta l’attenzione, adattando i vaccini già esistenti alla variante circolante e consentendone la produzione nel maggior numero possibile in vista di un eventuale spillover, ma al momento l’allerta rimane invariata”.

Anche per Massimo Ciccozzi, ordinario di Epidemiologia al Campus Bio-medico di Roma “il contesto epidemiologico non è cambiato”. E invita a non creare allarmismo, ma anche ad alzare l’attenzione sugli allevamenti intensivi: “Lì il virus circola moltissimo e, ogni volta che passa da un animale all’altro, o da una specie a un’altra, avvengono mutazioni casuali che in un tempo indefinito potrebbero essere pericolose per l’uomo”. Il professore sottolinea poi la differenza tra l’infezione diretta, come nei casi registrati fino ad oggi (incluso quello in Louisiana), e lo spillover, il passaggio di specie, che “avviene per via di mutazioni che consentono potenzialmente il contagio da persona a persona, finora non registrato ma che sarebbe preoccupante, in quanto il tasso di letalità è del 35%”.

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