Leader storico dell’estrema destra in Francia, prima padre fondatore del partito che ha quasi portato la figlia al potere, poi padrone controverso e addirittura ostacolo di un’ascesa che richiede compromessi. È morto all’età di 96 anni Jean-Marie Le Pen, figura chiave della politica francese, ma già da anni allontanato (contro la sua volontà) dal suo stesso partito. Dall’Eliseo si limitano a una nota: ha giocato “un ruolo nella vita pubblica” della Francia, ora “sarà sottoposto al giudizio della storia“. Per Jean-Luc Mélenchon, leader de la France Insoumise, pur “rispettando il lutto” della famiglia, “la morte non cancella il diritto di giudicare le sue azioni” che “restano insopportabili”. E, ha scritto su X, “la lotta contro l’uomo è finita, quella contro l’odio, il razzismo, l’islamofobia e l’antisemitismo da lui diffuso continua”.

Dall’impresa del 2002 allo strappo con la figlia – A Jean-Marie l’estrema destra deve l’impresa di aver rotto il primo argine, quello che sembrava insormontabile: nel 2002 arriva al ballottaggio delle presidenziali con il suo Front National e sfida Jacques Chirac al posto del socialista Lionel Jospin. Una data che tutti in Francia ricordano, il vero spartiacque di un’intera epoca politica. È lì che nasce il blocco repubblicano ed è sempre lì che tutte le forze politiche, per la prima volta, si sentono costrette a votare insieme per far fronte all’arrivo della tanto temuta estrema destra. È solo l’inizio di una crescita che ancora non si è fermata, ma che ha visto lo stesso Jean-Marie Le Pen sacrificato sull’altare dei compromessi. Arriva, infatti, nel 2015 il grande strappo con la figlia Marine, dopo le ennesime dichiarazioni choc del padre su Shoah e camere a gas naziste (definite “un dettaglio della Seconda guerra mondiale”). E’ il culmine di un processo di de-diabolizzazione che ha permesso di ridipingere l’intero partito, almeno nell’apparenza, e renderlo un avversario possibile (e credibile) alle elezioni. Così, una delle ultime dichiarazioni di Jean-Marie, arriva nel 2022 quando, da casa, organizza la proiezione dei risultati del secondo turno tra Macron e Le Pen. Una giornata storica, nonostante la sconfitta della figlia e nella quale il padre vuole prendersi un posto.

Dall’infanzia bretone all’ingresso in Parlamento – Il leader dell’estrema destra è nato in Bretagna, nel paesino di Trinité sur mer, il 20 giugno 1928. Qui lo hanno soprannominato “menhir”, dal nome bretone delle pietre sacrali celtiche piantate in verticale nel terreno. Perde il padre, pescatore, da giovanissimo a causa di una mina in mare, in circostanze, scrive le Monde, “mai del tutto chiarite”. Nel 1953 si laurea in legge, poco dopo si arruola nella Legione straniera e nel 1954 viene mandato in Indocina. Una volta rientrato in Francia, Pierre Poujade, considerato poi suo mentore conservatore e populista, lo fa entrare nel partito e a 27 anni lo fa eleggere come il più giovane deputato dell’Assemblea nazionale.

Nascita e dissoluzione del Front National – Appena un anno dopo l’elezione però, Le Pen si allontana da Poujade e decide di arruolarsi sul fronte algerino come parà. E’ questo uno dei passaggi più discussi della sua carriera: nel 1962 riemerge un rapporto di polizia che lo accusa direttamente di tortura su di un detenuto. Lui, inizialmente, dichiara che “non ha niente da nascondere” e che ha solo fatto “quello che andava fatto”. Poi negherà sempre il suo coinvolgimento, ma giustificherà l’uso della forza in certe circostanze. Dopo questa fase, nel 1972, è co-fondatore di quella che sarà per sempre la sua creatura: il Front National. La formazione politica appena nata è composta da nostalgici del maresciallo Petain e il modello è il Movimento sociale italiano di Giorgio Almirante, dal quale viene ripreso il simbolo della fiamma. Il Fn si presenta come una formazione di estrema destra, in antitesi diretta al gollismo. Corre altre tre volte, prima dell’exploit del 2002, fino al 2011 quando decide di passare il testimone alla figlia Marine. Un passaggio che si sperava indolore, diventa un vero e proprio divorzio nel 2015. E tre anni dopo la sua espulsione, il processo si conclude con il nuovo nome dato al partito: Rassemblement National. “Marine mi fa pietà”, scrisse Jean-Marie nel suo libro “Memoires: fils de la nation”. Quello che vivono padre e figlio è un lungo e contrastato romanzo famigliare che, volenti o nolenti, si svolge davanti alle telecamere. La leader cerca in tutti i modi di cambiare le vesti di una formazione politica che, di fatto, mantiene però ben salde le sue radici nel passato del padre.

Controversie e uscite imbarazzanti (per la figlia) – Se Marine Le Pen deve tutto o quasi al papà, c’è da dire che quest’ultimo non si è certo impegnato a renderle la vita più facile. A complicare la sua corsa, a tratti inarrestabile, sono state infatti proprio le uscite di Jean-Marie. L’elenco è molto lungo: i dischi con i canti del Terzo Reich pubblicati dalla sua casa discografica nel 1971 (per questo sarà condannato per “apologia di crimine di guerra”); le frasi assolutorie sulle violenze in Algeria; le dichiarazioni che sminuiscono lo sterminio degli ebrei. Il padre è sempre stato l’anima nera della destra francese, il leader a cui si devono tutte le posizioni più rigide ed estreme dei Le Pen. L’ultimo caso solo il 30 settembre scorso, quando il gruppo rock Match Retour, originario di Lione e vicino alla sfera neonazista, pubblica un video con Jean-Marie. La figlia li denuncia per “abusi”, accusandoli di aver approfittato del suo stato per convincerlo a registare le immagini. Del resto, proprio in quei giorni diserta, per motivi di salute, l’udienza del processo sull’uso dei fondi Ue per gli assistenti parlamentari del Front National. “Incapacità cognitiva”, dirà la figlia Marine nell’ennesimo e ultimo tentativo di coprire il padre.

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